Io non volevo amarla. Quando mi recavo a fare visita a mia madre, correvo nella camera in cui la sua gatta persiana grigia, Cinderella, aveva appena dato alla luce cinque splendidi gattini, tutti neri. E restavo lì ad ammirarli. Notai subito tra tutti un musettino particolare. Era la micia più minuta, con il nasino più piccolino, la boccuccia più carina. La prendevo sul palmo della mia mano e lei iniziava a miagolare e a ribellarsi, allora la restituivo alla sua mamma. Un giorno mia madre mi disse: “Ho notato che questa gattina ti piace tanto, vorrei che la prendessi tu”. “No, grazie. Io non posso tenerla. Sarebbe un vincolo, non potrei partire, non potrei più fare niente, perderei la mia libertà. No, non la voglio”, le risposi. “Fai una prova. La porti a casa e la tieni 48 ore, che ne dici?”, mi propose. “Mamma, i gatti mica si provano. Sei impazzita? E poi so già che non voglio animali, la stresserei inutilmente”, replicai seccata. Alla fine, andai via con un piccolo capellino di lana bianca dentro al quale c’era la micia nera. “Ok, la tengo con me solo un giorno o due”, pensai. Una sosta al negozio per animali per comprarle tutto il necessario e poi di corsa a casa. Messo fuori il musetto dal berretto, piano piano la gattina trovò il coraggio di uscire dal suo rifugio ed esplorare il nuovo ambiente. Per la prima volta era sola, senza fratellini, senza mamma. C’ero soltanto io. Io, invece, non ero più sola, avevo lei. Per qualche ora.
L’indomani mattina rincasai trafelata, gettate le buste della spesa sul pavimento, corsi in bagno per fare la pipì. All’improvviso vidi correre verso di me come un fulmine e saltarmi addosso quella minuscola micia, si mise sulle mie gambe fissandomi con un’espressione buffa, sembrava volesse dirmi: “Ehi, ma che fine avevi fatto? Finalmente sei tornata!”. Scoppiai a ridere e in quel preciso istante, sebbene il contesto non fosse molto romantico, compresi che io e quella gatta senza nome non ci saremmo mai più separate.
Mandai un messaggio: “Mamma, tengo la gattina. Grazie”. “E la tua libertà?”, rispose ironica.
Con il mio ex cercavo il nome appropriato da dare a quell’esserino così grazioso. Ne passammo in rassegna almeno una cinquantina. Alla fine, dissi: “Tara, lei si chiama Tara”. E subito la micia balzò sul divano miagolante. Da quel momento ogni volta che pronunciavo quella parola, lei accorreva consapevole della sua identità.
“Perché proprio questo?”, chiese il mio ex. “Tara è tutto ciò che resta a Rossella O’Hara dopo avere perso tutto: gli amici, la figlia, il marito. È l’unico motivo che le rimane per svegliarsi domani e ricominciare”. “Questo vuol dire che vuoi lasciarmi?”. “No, ma che se pure dovesse finire, io non ne morire, ricomincerei. Con Tara, ovviamente. Mica te la lascerei”, affermai scherzando.
E così fu. Una sera misi in macchina tutte le mie cose e lasciai per sempre quella casa. Sul sedile accanto al mio c’era la mia micia.
Fu dura per entrambe. Perché è faticoso cambiare la propria esistenza, voltare pagina, gettarsi nel vuoto, abbandonando ogni certezza. Eppure dobbiamo. Senza questo coraggio, senza questa scommessa su noi stessi, senza assumerci dei rischi, non saremmo mai felici.
Ora Tara è accanto a me. Si raggomitola sull’altro fianco, si stiracchia e torna a dormire. Amo la sua espressione da brontolona. È cresciuta, eppure è rimasta minuta. Sono trascorsi sei anni da allora. È cambiato tutto. Ora viviamo in un’altra città, in una nuova casa, siamo sole e felici più che mai. La prima notte nel nuovo appartamento, grande e completamente vuoto, eravamo piene di paura. Stavamo sul letto. Ad un certo punto, abbiamo sentito un piccolo rumore provenire da qualche parte, Tara si è sollevata sulle due zampe come fosse uno scoiattolo e si è messa a ringhiare come un dobermann. Allora sono scoppiata a ridere, accorgendomi che per tutto questo tempo io e la mia gatta abbiamo condiviso proprio tutto: anche le stesse emozioni.
Adesso non vedo l’ora di correre dalla mia micia, quando siamo lontane più a lungo di una notte o due, mi manca da morire, eppure non sono mai stata così libera.
Tara mi ha insegnato che la libertà non è partire e tornare quando ci pare, e neanche non avere nessuno da amare. Essa è prendere in mano la propria vita e trasformarla. Io l’ho fatto da sola. La mia micia speciale ha reso tutto più divertente e leggero. “Dopotutto, domani è un altro giorno”.
Articolo pubblicato su Libero il 17 settembre 2017