Potrebbe incontrare una brusca battuta d’arresto il processo di urbanesimo che a partire dall’Ottocento e ancora di più nella seconda metà del Novecento ha portato grandi masse a spostarsi dalle campagne, sempre più spopolate, alle città, le quali si sono trasformate in metropoli e poi in megalopoli.
A causa della paura generata dalla pandemia nonché dell’obbligo di permanere tra le mura domestiche al fine di limitare il contagio, le famiglie non considerano più la grande città il luogo migliore e più comodo in cui vivere. Nei giganteschi agglomerati urbani, infatti, è più facile infettarsi poiché per effetto della densità abitativa maggiori sono promiscuità e vicinanza, pensiamo ad esempio alle metropolitane, agli uffici, alle strade affollate, dove la gente si trova suo malgrado con lo stare gomito a gomito. New York, ad esempio, città più popolosa d’America, ha subito il 23% di tutte le morti per Covid-19 negli USA; Londra il 23% dei decessi avvenuti nel Regno Unito; Madrid il 32%.
Inoltre gli spazi destinati all’abitare nell’urbe sono più ristretti oltre che più costosi, per cui ci si riduce spesso a campare in monolocali o in bilocali di 60-80 metri quadrati, quando va bene, senza balconi o con terrazzini che si affacciano su viali caotici, rumorosi e pieni di smog. Coloro che hanno trascorso la quarantena in queste condizioni, ossia stipati in appartamenti minuscoli, hanno compreso l’importanza di godere di una abitazione di ampia metratura, dove ogni componente del nucleo familiare possa disporre di un angolo riservato, elemento che contribuisce in modo determinante sia al benessere individuale che alla tenuta dell’unione o della famiglia.
A ciò si aggiunga che il divieto di uscire se non per fare la spesa ha risvegliato persino negli amanti più accaniti della metropoli il desiderio di garantirsi un contatto con la natura, un habitat in cui muoversi, respirare aria pulita, passeggiare, stare all’aria aperta restando sempre all’interno della proprietà personale. Un sogno irrealizzabile in città ma attuabile al di fuori di essa, magari in campagna. Ecco perché le periferie sembra stiano diventando più attraenti, tanto che da Nord a Sud è aumentata già del 20% la richiesta di case con terreno (indagine realizzata dalla rivista Ville&Casali), immerse in un verde lussureggiante, appartate rispetto al caos cittadino, estese e soprattutto abbordabili anche da punto di vista economico.
Insomma, gli italiani, e non solo, fanno le valigie e si trasferiscono in campagna al fine di recuperare un equilibrio psico-fisico saltato durante la fase più acuta dell’epidemia e altresì per mettersi al riparo dal rischio di una seconda ondata di contagi nonché dal conseguente ripristino dell’isolamento forzato. Se proprio dobbiamo rimanere segregati in futuro, tanto meglio esserlo all’interno di un bel casale, circondato da alberi, piante e fiori. È mutato il nostro concetto di alloggio ideale. Esso non è più una sorta di camera di albergo, bensì un nido, un rifugio, un piccolo regno in cui si svolge la vita stessa, il quale deve essere confortevole e accogliente.
Sono anche i giovani a spostarsi e lo fanno pure per lavorare la terra (20% in più rispetto al periodo febbraio-aprile dello scorso anno), che rappresenta un bene solido a cui ritornare. Dopo l’addio (temporaneo) alle discoteche, ai bar e ai pub gremiti, si fa rotta verso le aree rurali, quelle che per decenni abbiamo snobbato. L’esistenza da contadini ci appariva terribilmente noiosa, ora invece è ciò a cui molti anelano. Emerge il bisogno di cose semplici, rassicuranti, concrete. Il timore della morte ci ha depurati e riavvicinati all’essenziale, che è in fondo tutto ciò che conta.
Tuttavia, a rendere possibile tale radicale metamorfosi delle nostre consuetudini, ovvero la migrazione al di là dei confini della città, sono pure smart working e tecnologia. Se possiamo lavorare da remoto, senza mettere il piede fuori dall’uscio, e recarci in ufficio solo qualche volta o due giorni a settimana, tanto meglio traslocare dal centro e prendere una dimora altrove, in un ambiente rilassante e silenzioso, dove crimini e violenza non dilagano. I social network, internet, la posta veloce ci consentono di non sentirci isolati dal resto del mondo sebbene risiediamo sul cucuzzolo della montagna. Quindi, non ci manca proprio niente per essere felici. E se ogni tanto ci dovesse assalire la nostalgia dei bagni di folla, delle file, del traffico, degli automobilisti che ci mandano al diavolo, basta montare su una macchina e correre a fare una gita nel cuore pulsante di uno di quegli agglomerati ormai così poco di moda.
Articolo pubblicato su Libero il 17 maggio del 2020