“La regola dei due mandati non è mai stata messa in discussione e non si tocca. Né quest’anno, né il prossimo, né mai. Questo è certo come l’alternanza delle stagioni e come il fatto che certi giornalisti, come oggi, continueranno a mentire scrivendo il contrario”, assicurava sul sito ufficiale della ministero del Lavoro, ossia Twitter, Gigino Di Maio il 31 dicembre 2018, a poche ore dall’avvento dell’anno che avrebbe segnato il suo supersonico tracollo politico: da stella nascente a stella cadente. Tuttavia i grillini, tanto inflessibili nella teoria e tanto genuflessi nella pratica, hanno dato vita ad un nuovo tipo di trasformismo: cambiano sempre idee e punti cardine, persino quelli che considerano immutabili, e lo fanno a seconda delle circostanze. Insomma, essi sono una garanzia, almeno quanto a bidoni. Prova ne è che mercoledì sera gli italiani, assistendo all’ennesimo show di Alessandro Di Battista, il falegname pentito del Movimento di Casaleggio, hanno appreso che quella che fino al giorno prima era una regola indiscutibile, ossia il vincolo del doppio mandato per tutti gli eletti pentastellati, verrà stracciata qualora questo governo dovesse cadere.
Dunque, qualora il matrimonio combinato tra Lega e M5S avesse termine per incompatibilità caratteriale tra i due alleati, gli 83 deputati grillini che il 4 marzo scorso sono stati eletti per la seconda volta potrebbero essere ricandidati e mantenere il sedere sulle poltrone color porpora. Il motivo? Dibba lo spiega con chiarezza nel salotto di Lilly Gruber: qualora l’esecutivo si sciogliesse, questa legislatura della durata di oltre un anno non sarebbe considerata come mandato. Insomma, sarebbe annullata, come se parlamentari e senatori gialli non fossero mai stati votati dal popolo italiano, come se non avessero compiuto disastri per 13 mesi e immobilizzato il Paese appassionandosi a questioni di lana caprina. Beh, anche gli abitanti della penisola vorrebbero poter cancellare e dimenticare parte di questa esperienza politica, eppure non possono. Quindi perché azzerare il conto e ripartire daccapo?
E menomale che il 24 maggio scorso, ossia meno di un mese fa, lo stesso Alessandro Geppetto aveva dichiarato che il doppio mandato costituisce un principio importante e non c’è motivo di cambiarlo. Insomma i cinquestelle hanno poche idee e tutte sballate. Qualche giorno prima Davide Casaleggio, titolare dell’associazione privata Rousseau a cui fanno capo e rispondono gli eletti grillini, i quali devono per statuto devolvere parte dei loro stipendi a Casaleggio junior, presiedente e tesoriere dell’associazione stessa, aveva rilasciato un’intervista a Le Monde (poiché predilige essere intervistato da giornalisti stranieri considerato che quelli italiani per i gialli sono pennivendoli e puttane) in cui specificava: “Il limite massimo dei due mandati non è modificabile, abbiamo sempre detto che la politica non è un mestiere”. Eppure per mestiere l’ha presa Di Battista, il quale, avendo verificato che: 1) non può fare a vita il ragazzo con lo zaino in spalla a zonzo per il pianeta; 2) non avrebbe chance come falegname (ipotesi andata al macero alla fine del corso in falegnameria); 3) il reddito di cittadinanza non gli consentirebbe di mantenere neanche i pannolini al pupo; ha deciso di tornare alla cosa pubblica, proprio lui che con la cosa pubblica aveva chiuso per interessarsi solo alla casa privata, ovvero alla sua famiglia. Del resto, la politica lo aveva già salvato nel 2013, quando da animatore rompipalle nei villaggi turistici si era ritrovato ad essere parlamentare della Repubblica italiana. In attesa di scoprire cosa volesse fare da grande, Alessandro si è poi messo in viaggio, una lunga vacanza all’estero, in America Latina, dove, tra una siesta e l’altra, è diventato esperto di politica internazionale, per poi rientrare in patria illuminandoci tutti con le sue perle di saggezza, dispensate anche con troppa generosità saltando da un programma televisivo all’altro, da Rai a Mediaset passando per La7 e chi più ne ha più ne metta. Quello che mercoledì sera è apparso in tv era un Dibba più consapevole, che ha maturato finalmente una certezza, almeno una: “Se si tornasse al voto mi candiderei al 100%”. Intanto i grillini che lo seguivano da casa si spendevano in gesti apotropaici di scarsa finezza, poiché l’annuncio aveva il chiaro tono della minaccia, e non solo per il popolo italiano. Infatti, fu proprio allorché Mastro Di Battista fece ritorno nel Bel Paese che il M5S cominciò a perdere punti nei sondaggi e a sei mesi dal suo atterraggio i pentastellati hanno dimezzato i loro consensi. Insomma, Alessandro se non porta sfiga, porta danno. E giureremmo che sia per quel suo modo saccente di parlare, che alla fine risulta per forza antipatico, per quella sua evidente incontenibile presunzione, dissimulata a fatica con una plastificata umiltà, la quale puntualmente resta soffocata dalla sicurezza – tipica dell’idiota – di essere una sorta di dio sceso sulla Terra per salvarci tutti. L’aspirante falegname – braccia rubate alle segherie nostrane – si atteggia a grande guru ed è addirittura persuaso di esserlo.
E come di consueto, pure mercoledì sera Dibba si è scagliato ferocemente contro il ministro dell’Interno, accusandolo di stare provocando i pentastellati con l’intenzione di giungere al crollo dell’esecutivo, come fosse un castello di carte. La colpa sarebbe sempre sua, ossia di Matteo Salvini, il quale ieri ha replicato: “Io invidio Di Battista, sta passando i suoi mesi in giro per il mondo pagato per dare lezioni al prossimo. Ci sono tanti parlamentari e ministri dei 5 Stelle che lavorano ed io preferisco parlare con loro piuttosto che con i chiacchieroni tropicali a pagamento”.
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Articolo pubblicato su Libero il 21 giugno 2019