Proprio come il triumvirato del 60 a. C. tra Pompeo, Crasso e Cesare, in cui quest’ultimo, eletto console, ricopriva una funzione di garanzia volta alla realizzazione delle leggi che più stavano a cuore ai primi due, aspiranti entrambi alla carica direttiva, l’unione posticcia dei vicepremier Salvini e Di Maio e del primo ministro Conte dopo quasi un anno inizia a sgretolarsi sotto la spinta di invidie, gelosie, ambizioni insoddisfatte e opportunismi sfrenati. Qualcuno credeva che fosse amore, invece era un calesse. Poiché, sebbene tre sia ritenuto numero perfetto, allorché ci sono tre culi e una sola solenne poltrona, prima o dopo si passa dalla guerra fredda alla guerra aperta. Gigino vuole rivendicare il ruolo di leader del partito più votato alle elezioni del 4 marzo del 2018, Matteo è ben consapevole che nel giro di pochi mesi la Lega ha strappato consensi ai cinquestelle ed è cresciuta in modo sbalorditivo; Giuseppe, il quale sembrava un tipo disposto a fare da marionetta, da premier fantoccio, ha cominciato a tirare fuori le unghie e a farsi valere, avocando a sé un potere addirittura spropositato. Il presidente del Consiglio si era presentato ai cittadini affermando “sarò l’avvocato degli italiani” ed è finito poi con il fare l’avvocato del diavolo. Infatti giovedì pomeriggio pretendendo le dimissioni del sottosegretario della Lega Armando Siri, sotto inchiesta per corruzione, ha mostrato di infischiarsene di norme e codici che dovrebbe masticare alquanto essendo un giurista. Qualcuno – stando attento a non deluderlo – dovrebbe spiegargli che non è un monarca assoluto, in quanto sembra che si stia ammalando della sindrome del re Sole. Nonostante abbia frequentato il foro, Conte calpesta i diritti di difesa di Siri, il quale ancora – specifichiamolo – non è stato condannato in via definitiva e neanche in primo grado né è stato rinviato a giudizio. “Al prossimo consiglio dei ministri porrò all’ordine del giorno la mia proposta di revoca del sottosegretario, assumendone tutte le responsabilità. Siri deve dimettersi”, ha tuonato il primo ministro. E menomale che doveva essere il legale degli italiani, a noi sembra che Conte creda di essere sommo giudice del tribunale dell’inquisizione: è a priori certo della colpevolezza indiscutibile dell’indagato e lo vuole estromettere. Ci manca poco che gli imponga la pena dei lavori forzati a vita per direttissima. Giuseppe non ha mezza misure: da pupazzetto che si faceva prendere per il braccio dal suo portavoce grillino, l’ex concorrente del Grande Fratello, Rocco Casalino, e si assoggettava a ciò che gli veniva dettato all’orecchio dai suoi vice, adesso convoca conferenze per annunciare che Siri se ne deve andare a casa subito, in barba ai leghisti, da sempre garantisti e non solo quando questo gli conviene, come da prassi grillina.
Conte ed i pentastellati stanno sovvertendo il principio della separazione dei poteri, nell’ansia di voler fare tutto, ora esercitano pure quello giudiziario, dato che essi sono immensamente giusti. Nello studio di “Otto e mezzo” giovedì sera il ministro del Lavoro ha fatto una dichiarazione raccapricciante che è passata però sotto traccia. Eccola: “Siri ha proposto di dimettersi 15 giorni dopo essere stato ascoltato dai magistrati se non sarà assolto. Questo significa che non sappiamo quando sarà ascoltato e se non sarà assolto 15 giorni dopo, – è impossibile che sarà assolto -, avrebbe comunque scavallato le europee. È una strada un po’ furba che non possiamo permettere”. Innanzitutto, ci preme fare notare a Gigino, la cui grammatica resta ancora deficitaria, che dopo essere stato sentito dai pm Siri non potrà essere assolto, semmai prosciolto, poiché l’assoluzione può subentrare soltanto dopo il rinvio a giudizio, ovvero alla conclusione del processo almeno di primo grado. Inoltre, il vicepremier con una presunzione senza precedenti, chiaro sintomo di ignoranza riguardo la legge nonché i principi fondamentali, sostiene in diretta tv senza fare una piega che lui conosce già e dà per scontato ciò che neanche gli inquirenti ancora sanno: Siri è colpevole al di fuori di ogni ragionevole dubbio, reo al 100%. Dice addirittura: “È impossibile che sarà assolto”, quindi sarebbe una furbata attendere due settimane per licenziarsi superando così le elezioni europee. È un fatto di una gravità assoluta. Qui non è in gioco il diritto di Armando Siri di restare al suo posto pure quando gli organi inquirenti investigano su di lui, bensì il diritto di ciascun cittadino di essere considerato innocente fino al terzo grado di giudizio. Non è accettabile che in uno Stato democratico un individuo sia ritenuto un criminale e venga trattato da tale per il fatto di essere sotto procedimento giudiziario in fase addirittura preliminare. Questa non è la Russia comunista di Stalin.
I grillini hanno dimostrato ancora una volta di essere una banda di dilettanti, la cui sbandierata onestà è tracimata in un ingiustificato senso di superiorità morale nonché in un cieco giustizialismo, che nulla ha a che fare con la rettitudine.
Pubblicato su Libero il 4 maggio 2019