Se siete anche voi tra coloro che non lesinano i “vaffanculo” quando servono e che ricorrono spesso e volentieri a termini quali “stronzo” e “cazzo”, infischiandosene dei perbenisti che fingono di scandalizzarsi e di restare turbati davanti ad espressioni inquadrate nella categoria “turpiloquio”, abbiamo ottime notizie per voi. Da oggi la scienza vi fornisce valide risposte da opporre a quelli che, storcendo il naso e guardandovi dall’alto in basso allorché pronunciate una innocente parolaccia, vi accusano di essere volgari. Secondo numerosi studiosi, infatti, chi non disdegna l’uso di espressioni considerate “poco educate” possiede un vocabolario più ricco della media nonché un’elevata padronanza linguistica, sebbene saremmo portati a credere che le imprecazioni siano evidente sintomo di miseria lessicale. Insomma, si predilige il sostantivo scandaloso non perché non se ne conoscano altri capaci di supplirlo, bensì soltanto per essere più efficaci ed estemporanei nel comunicare. In particolare, gli psicologi Kristin Jay e Timothy Jay del Marist College, nello Stato di New York, e del Massachusetts College, dopo una serie di esperimenti e test sono giunti alla conclusione che “un arsenale voluminoso di parole sconce può essere ritenuto un indice positivo delle capacità verbali in entrambi i sessi”, dal momento che sono finiti da un pezzo i tempi in cui le donne perdevano i sensi e avevano bisogno dei sali per rianimarsi dopo avere udito una volgarità. Anzi, è proprio il gentilsesso a disdegnare di meno l’impiego del liberatorio “vaffanculo”. I ricercatori dell’Università di Rochester, a New York, dopo avere esaminato i comportamenti di un campione di circa 1000 persone, hanno evidenziato che gli individui più portati al linguaggio scurrile sono quelli con il più alto quoziente intellettivo, ossia i più intelligenti ed arguti. E sono soprattutto di sesso femminile. 

Inoltre, sembra che pronunciare parole oscene a iosa sia peculiarità di chi è dotato di una personalità più aperta. 

Anche il professore di psicologia Richard Stephens della Keel University si è interessato al turpiloquio, notando che ne facciamo uso non solo durante accese discussioni o quando siamo stufi e perdiamo la pazienza, ma anche al fine di esprimere emozioni o sopportare la sofferenza fisica. Il docente, assistendo alla nascita della figlia, notò che la moglie imprecava durante le contrazioni e che il personale medico restava del tutto indifferente alla veemenza del suo glossario sboccato, segno che questo accadeva abitualmente in sala parto. Da qui Stephens decise di condurre i suoi studi, giungendo alla conclusione che le parolacce hanno un potente effetto antidolorifico naturale: aumentano la frequenza cardiaca, stimolano la produzione di adrenalina ed elevano la soglia di tolleranza al dolore. Quante volte ci è successo di sbattere il dito mignolo del piede contro uno spigolo e di urlare imprecazioni?! Prima dell’invenzione dei farmaci analgesici andavamo avanti a sovradosaggi di “sacramenti”, i quali peraltro non hanno significativi effetti collaterali. Al massimo si verrà etichettati come soggetti sguaiati.

Oltre ad essere intelligenti, aperti e colti, gli amanti delle parolacce si distinguono per sincerità, in quanto non riescono a dissimulare i loro pensieri e le loro antipatie con sorrisini finti e parole caramellose. Insomma, nulla è più autentico di un “vaffanculo” detto con il cuore e nessuno è più onesto di chi ci manda a quel paese. Secondo David Stillwell, ricercatore della Cambridge University, le persone che ricorrono a vocaboli sconci non sono macchinose nel loro approcciarsi agli altri, reagiscono in modo vero e sono più umane. Di esse dunque ci si può fidare. 

In un mondo in cui facciata e apparenza contano più di sostanza e contenuto ed in cui è sempre più arduo distinguere ciò che è genuino da ciò che è taroccato, non ci resta che circondarci di amici pronti all’occorrenza a mandarci al diavolo.

Articolo pubblicato su Libero il 19 agosto 2019

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