Annientati non dal corona ma dalle drastiche misure atte a contenerlo, i nuovi poveri nel giro di pochi mesi sono passati dal 31 al 45% e quasi una persona su due che si rivolge ad enti di assistenza lo fa per la prima volta ed era altresì certa che non avrebbe mai avuto bisogno di chiedere aiuto per mettere qualcosa tra i denti, precipitando all’improvviso in una condizione di seria difficoltà. Lo rivela l’ultimo Rapporto su povertà ed esclusione sociale della Caritas.
Solamente nel periodo marzo-maggio la rete Caritas ha registrato un importante incremento del numero di cittadini sostenuti da diocesi e parrocchie: 445.585, a cui corrispondono nuclei familiari (il valore – è bene specificarlo – è sottostimato, in quanto non tutte le Caritas diocesane sono state in grado di fornire i dati). Oltre la metà dei disperati che confidano nella generosità dell’organismo pastorale sono di nazionalità italiana (52%, contro il 47% del 2019). Insomma, i bisognosi nostrani hanno superato per la prima volta quelli stranieri.
Ma chi sono coloro che hanno appena varcato la tetra soglia della miseria più nera? Impressiona l’alto numero di donne e giovani, prime categorie ad essere colpite dal calo dell’occupazione e dalla perdita dell’impiego. E poi ci sono i lavoratori dipendenti, i quali in attesa della cassa integrazione non hanno potuto fare altro che domandare sostegno alle associazione impegnate su questo fronte allo scopo di pagare affitto, utenze, beni di prima necessità; quelli senza tutele perché sgobbavano in nero e quelli autonomi, che da un momento all’altro si sono ritrovati del tutto senza entrate eppure con esigenza di pari uscite. Infine, i piccoli commercianti, molti dei quali non sono riusciti a riaprire le loro attività dopo il periodo di quarantena.
A rendere ancora più angosciante questo quadro è la cornice. Infatti, quando nel 2008 precipitammo in una crisi micidiale, i poveri assoluti erano circa 1,7 milioni, oggi invece la crisi con la quale stiamo facendo i conti non soltanto si sovrappone a quella precedente, dalla quale non siamo mai venuti fuori, ma oltretutto sta avvenendo in un contesto socio-economico in cui i soggetti privi persino dei beni essenziali sono oltre 4,5 milioni. Se questo fosse il drammatico apice delle conseguenze della fase di isolamento, potremmo credere che da qui in avanti la situazione potrebbe solo migliorare. Invece no. Il sistema per adesso ha retto, quantunque barcollando. La minaccia di ulteriori chiusure, che per molte piccole e medie imprese costituirebbero il definitivo colpo di grazia, unita allo sblocco di sfratti e licenziamenti non fa presagire nulla, ma proprio nulla, di buono.
Si dice “mal comune mezzo gaudio”, tuttavia non consola sapere che l’indigenza si allarga a macchia d’olio ovunque, anche al di fuori dell’Italia e dell’Europa, in ognuno degli oltre 200 Stati che compongono la comunità internazionale assaliti dal virus cinese. La Banca Mondiale ha diffuso i dati riguardanti la povertà estrema: le persone obbligate a campare con meno di 2 dollari al dì salgono da 60 a 114 milioni.
Mentre esplode la quota di disperati, si fanno più acute le disuguaglianze sociali tra chi ha tutto e chi non possiede nulla, tra chi dispone di un contratto a tempo indeterminato e chi invece è un lavoratore precario o a chiamata, tra chi è proprietario di una casa in cui eventualmente trascorrere la quarantena al sicuro e chi dorme sul marciapiedi, tra chi può comprare ai figli apparecchiature per la didattica a distanza e chi non può assicurare alla prole il diritto alla istruzione in tempi di epidemia, (il 33,8% delle famiglie italiane non ha un computer o un tablet, Istat 2020).
Di pari passo a fame e bisogno lievita la quantità di coloro che soffrono di solitudine, disagi psicologici e relazionali nonché di depressione. E nei nuclei familiari affiorano conflittualità sempre più aspre, non solo tra coniugi ma altresì tra genitori e figli (dal primo marzo al 16 aprile di quest’anno le chiamate ai centri antiviolenza sono cresciute del 73% rispetto al medesimo periodo del 2019). Ecco perché, a giudizio della Caritas, la povertà che ci affligge non è di natura esclusivamente economica, piuttosto una “povertà dalle mille sfaccettature”. Una brutta bruttissima bestia che ci stritola la gola.