In un lungo post pubblicato su Facebook il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha ribadito oggi l’importanza del sì al referendum per il taglio dei parlamentari. “Il taglio di 345 parlamentari non è uno spot elettorale, non è uno slogan, ma è qualcosa di concreto, di unico, che anche altri Paesi iniziano a guardare con interesse. Quello che vi dico è molto semplice. Vogliamo modernizzare l’Italia? Vogliamo portarla agli standard europei o dobbiamo continuare ad essere il Paese europeo con il più alto numero di parlamentari eletti? Vogliamo rendere il nostro parlamento più efficiente e in grado di lavorare e approvare le leggi con maggiore celerità? Vogliamo ridare un ruolo centrale al cittadino? In infine, vogliamo risparmiare mezzo miliardo di euro a legislatura? Se la risposta a queste domande è sì, allora non ci sono dubbi. Il 20 e il 21 settembre io voto sì. Perché l’Italia deve crescere, rinnovarsi, innovarsi, stare al passo coi tempi e in linea con gli altri Paesi europei”, ha spiegato Di Maio.
In realtà, il taglio dei parlamentari incide negativamente sulla rappresentanza dei cittadini, quindi non giova affatto a questi ultimi né li pone al centro. I cinquestelle puntano alla distruzione della democrazia rappresentativa (e il taglio dei parlamentari è il primo passo), in favore della democrazia diretta, e non lo hanno mai nascosto. Tutt’altro.
“La nostra forza e la differenza con gli altri partiti consistono nella democrazia diretta, che solo il M5s ha nel suo dna. Basta decisioni prese nelle stanze dei bottoni. La Rete è una grande opportunità che rende più trasparente e democratica la gestione della cosa pubblica”, si legge sul blog delle stelle. Ed in questi anni i pentastellati non hanno fatto altro che tessere lodi nei confronti del loro metodo che vuole coinvolgere i cittadini cosiddetti “digitali” nelle scelte politiche, determinanti e non, mediante votazioni che vengono indette e si tengono sul web.
In un intervento concesso per magnanimità al Washington Post, qualche anno fa Davide Casaleggio, erede nonché monarca assoluto del M5s, spiegava che la democrazia diretta è destinata a sovvertire quella tradizionale proprio grazie all’esistenza del web, che creando mobilità dal basso consente ai cittadini di votare standosene beatamente a casa in panciolle.
Non vi è dubbio che ad una maggiore partecipazione corrisponda una più forte democrazia. Tuttavia, quella promossa ed esaltata da Casaleggio assomiglia ad una democrazia diretta sì, ma mica dagli italiani! A dirigerla è proprio Davide (chiamalo scemo!), fondatore (insieme a suo padre Gianroberto), presidente e tesoriere dell’Associazione Rousseau a cui sono tenuti a rispondere gli eletti, che per statuto hanno l’obbligo – pena l’espulsione – di versare una tassa di 300 euro mensili (che assomiglia di più ad una tangente legittimata) all’associazione stessa per un totale di diversi milioni di euro a legislatura.
È l’informatico Davide che gestisce altresì la piattaforma su cui avvengono tutte le votazioni promosse dai cinquestelle, stabilisce la formulazione dei quesiti, certifica le liste, verifica l’idoneità degli aspiranti candidati e li seleziona. È Davide che riceve e conta i voti e cura il dietro le quinte.
Insomma, fa tutto Casaleggio junior, su cui eletti ed attivisti ripongono – evidentemente – indiscussa fiducia, quasi non fosse neanche un essere umano, bensì avesse connotati divini. Sostenere che codesta democrazia gialla faccia acqua da tutti i pori e sia perciò una gran bella fregatura è un eufemismo. È chiaro che sussiste un clamoroso conflitto di interessi, che tuttavia non sembra scandalizzare coloro che negli ultimi lustri non hanno fatto altro che scagliarsi contro Silvio Berlusconi in quanto incarnazione del conflitto di interessi puro.
Insomma, i pentastellati sono eccellenti nel predicare almeno quanto si sono rivelati eccellenti nel razzolare male. Dettano la morale che essi stessi trasgrediscono. E sempre per lo stesso motivo: opportunismo politico. Il movimento, come ogni altro partito vivente, o anche moribondo, mira all’acquisizione e alla conservazione del potere, che detto papale papale significa che ai grillini preme soltanto una cosa: mantenere il più possibile i sederi sulle poltrone (e non di casa loro). Ciò che interessa pure a Davide, il quale sa bene che, se si andasse alle elezioni anticipate, il Movimento perderebbe seggi al Senato e alla Camera ed egli stesso cospicui introiti economici.
Dunque, i cinquestelle sono disposti a tutto pur di scongiurare codesta eventualità, persino a rimangiarsi ciò che hanno ripetuto per un decennio, ossia che mai avrebbero fatto accordi con quelli del Pd, considerati i “salvatori delle banche” a danno dei risparmiatori, i politici “falliti” che hanno mandato in rovina l’Italia, come li definiva Luigi Di Maio.
Apparivano quali politici illuminati (non a noi), capaci di una visione di lungo periodo, invece essi si sono dimostrati non in grado di guardare oltre il proprio naso. Hanno adottato dallo scorso anno, quando si sono sposati con il Pd, il motto: “Meglio un uovo oggi che una gallina domani”. Ecco perché si stanno disintegrando come asteroidi.