Il giorno del suo secondo insediamento, il 9 settembre del 2019, il premier succeduto a se stesso Giuseppe Conte, mentre teneva il suo solenne discorso carico di frasi fatte ed ovvietà, veniva contestato in piazza. Una pessima partenza: insediarsi con una massiccia manifestazione di protesta a pochi metri. Di solito questo accade ai politici alla fine del loro percorso, non all’inizio. E anche in aula, dove si apprestava a chiedere la fiducia, piovevano fischi ai quali il professore rispose con la sua consueta spocchiosità: “Fatemi finire, poi applaudite”.
La sua metamorfosi era già compiuta. Da burattino a burattinaio. Da premier vice dei suoi vice ad aspirante ducetto, il quale non appena ha potuto si è preso i pieni poteri, sebbene criticasse Matteo Salvini per avere detto agli italiani: “Datemi pieni poteri”, cosa che presuppone libere e democratiche elezioni.
Da quel 9 settembre Giuseppi non fa altro che ripetere gli stessi banali concetti in ogni occasione. “Inizia la stagione del rilancio e della speranza”, annunciò.
Questo rilancio poi non è mai avvenuto. E quanto alla speranza, quella di rimanere il più possibile con il sedere sulla poltrona non ha mai abbandonato né Conte né i giallorossi.
Se solo fosse possibile essi dichiarerebbero lo stato di emergenza permanente.