Nulla è più volubile del popolo dei social network, a cui non sta bene mai niente ed ogni dì seleziona la vittima prediletta da prendere di mira. Qualche giorno fa è toccato ai piedi della influencer milionaria Chiara Ferragni, bollati come “inadeguati”, subito dopo alla sportiva Cristina Marino, neomamma e compagna dell’attore Luca Argentero, tacciata di essere troppo in forma sebbene abbia appena partorito nonché di mangiare troppo poco nonostante stia allattando la sua bimba.

Proprio come era accaduto i primi di gennaio alla showgirl Elena Santarelli, incriminata in quanto magra. “Figlia mia, qualche grammo di pasta in più nel piatto non ti farebbe male”, fu il commento più ameno sotto le fotografie di Santarelli, la quale rispose all’impertinente: “Anche a te una padellata”.

Gli utenti del web non perdonano i rotolini di ciccia e neppure un accenno di cellulite o di pancia, ma allo stesso modo non si dimostrano clementi neanche con chi ha il corpo asciutto e l’addome scolpito. Non c’è scampo: dalla critica non ci si salva ed essa costituisce l’attestazione che si è usciti fuori dall’anonimato. Se non vieni schernito non esisti. Basta un minimo di popolarità per finire nel tritacarne.

Ed ecco subito i commenti: “Perché non mangi un po’ di più? Si vedono le ossa”, “Nutriti ché fai pena”, “Se fossi in te, coprirei quel sederone”, “Fai schifo così secca”, “Fai schifo così cicciona”. Va da sé che ad essere esaminate con la lente di ingrandimento sono soprattutto le donne, alle quali si chiede di essere esili ma non troppo, morbide ma non troppo, sexy ma non troppo, acqua e sapone ma non troppo. E dopo il risultato è sempre il medesimo: una pioggia di giudizi, terribili insulti, feroci battute, crudeli illazioni, il tutto condito con consigli non richiesti dai toni fintamente amichevoli.

Ed è così che la rete si è trasformata in un serbatoio di odio, frustrazione, invidia, cattiveria, dove macerano i peggiori sentimenti umani. Ad imputridire siamo noi stessi, incapaci come siamo oramai di accorgerci del bello poiché troppo impegnati a ricercare il brutto, la pecca, la magagna, il celebre pelo nell’uovo.

Ma perché lo facciamo? Insomma, perché diavolo siamo diventati tanto stronzi? Forse lo siamo sempre stati, tuttavia la tecnologia senza dubbio ha acuito questo aspetto: in qualsiasi momento chiunque può vomitare la sua inveendo su questo o quel personaggio pubblico, la cui colpa il più delle volte è quella di essere ricco, figo e apparirci schifosamente insopportabilmente felice.

In un modo o nell’altro dobbiamo persuaderci che, tutto sommato, l’esistenza di chi è reputato fortunato non sia poi così lieta e che quel fisico perfetto nasconda decine di imperfezioni. Una maniera per sentirci meno scontenti di noi. L’infelicità è fardello più sostenibile se ad essere infelici sono pure gli altri. Che piaccia o meno questa è l’umanità!

Ricordo una favola di Esopo che mi narrava mia madre quando ero bambina e iniziavo a scontrarmi con l’insensibilità del genere umano, a cui tuttora stento ad abituarmi. Eccola: ciascun uomo conduce due bisacce, una davanti e l’altra dietro. Ciascuna è piena zeppa di difetti. Quella davanti contiene i difetti altrui, mentre quella dietro i difetti di colui che la porta. È per questo che gli uomini non riescono a vedere i difetti propri, tuttavia notano benissimo quelli altrui.

Dal momento che non possiamo fare granché per modificare codesto andazzo, non ci resta che imparare a schivare le bastonate che ci giungono dall’esterno coltivando l’antica e nobile arte del “me ne frego”.

Un po’ come usa fare il leader della Lega Matteo Salvini, il quale viene puntualmente criticato per la pancetta allorché in estate, proprio come gli altri politici, compare in costume sui giornali di gossip, o perché ama la Nutella e le merendine, ma anche perché gusta le ciliegie, più salutari.

Matteo risponde con una grossa risata e subito dopo carica un altro autoscatto con la scritta: “Alla faccia di chi ci vuole male”. Nemici disintegrati. Poiché niente al mondo procura più fastidio a chi ci è ostile del constatare suo malgrado che siamo impermeabili alla sua malevolenza.

Se al bene si replica con il bene, al male occorre replicare con l’indifferenza.

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