Due uomini nudi si aggrovigliano, uno di loro regge tra le mani tre calle, sullo sfondo campeggiano fiorellini dorati. È l’immagine scelta dal Museo archeologico nazionale di Napoli, in collaborazione con la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, al fine di promuovere la vaccinazione anti-Covid, come si deduce in maniera inequivocabile leggendo l’arcinoto e stucchevole slogan che appare sul manifesto: “L’Italia rinasce con un fiore”. Abbiamo scomodato pure le Arti per sponsorizzare il vaccino. E la brillante idea di farle scendere in campo è stata del ministro per i beni e le attività culturali Dario Franceschini, il quale ha voluto che tutti gli istituti che fanno capo al suo dicastero, come biblioteche statali, archivi, musei e parchi archeologici, contribuissero alla campagna di comunicazione digitale a sostegno dell’antidoto al coronavirus.

Sorvolando sul fatto che il vaccino non ha alcuna attinenza con la cultura e quindi appare inappropriato l’intervento del ministero guidato da Franceschini il quale semmai dovrebbe occuparsi della crisi nera in cui versano lavoratori dello spettacolo e albergatori, colpisce che per incentivare gli italiani a farsi inoculare il farmaco si continui a credere che occorra persuaderli mediante immagini suggestive, frasi caramellose, pubblicità emozionale da voltastomaco, come se gli abitanti della penisola fossero dei bambini capricciosi e indisciplinati che rifiutano di mandare giù la pillola, nulla a che vedere con i loro politici illuminati, tipo Gigi Di Maio.

Ciò che il popolo chiede e di cui avrebbe bisogno sono informazioni chiare e puntuali, eppure tale richiesta viene ritenuta una bizzarra pretesa, mica un sacrosanto diritto. E così si fa ricorso a pagliacciate come lo spot costruito dal Museo archeologico di Napoli, che si serve dei gay per indicare alla gente che chi non è omofobo è una bella persona che si vaccina senza fare tante storie, quindi è cittadino responsabile al contrario di colui che invece nutre dubbi riguardo la vaccinazione. Il che è un tantino discriminatorio.

Siamo passati dalla mercificazione del corpo della donna, tanto osteggiata dalle femministe come Laura Boldrini, alla mercificazione del corpo dell’omosessuale, adoperato quale garanzia di successo del messaggio che si intende lanciare. Del resto, quale differenza c’è tra un paio di tette utilizzate per reclamizzare gli pneumatici e due giovani gay utilizzati per reclamizzare i vaccini?

“Reclamizzare i vaccini”, fa ridere, vero? Eppure è ciò che sta accadendo, intanto mancano le dosi stesse, oltre che medici, siringhe, piano vaccinale. Insomma, il governo pubblicizza pure ciò che non è in grado di assicurare persino a chi ha tanto desiderio di farsela fare questa benedetta iniezione.

Un altro aspetto inquietante della immagine che vi proponiamo oggi risiede nel secondo comunicato che con essa si mira a veicolare dopo quello “se non sei omofobo, fatti pungere”: potremo abbracciarci soltanto quando si saremo sottoposti tutti quanti alla vaccinazione, fino ad allora persino amarci è vietato, così come ogni gesto di tenerezza, ogni sorta di contatto fisico. Si è liberi solamente da vaccinati, insomma.

È stato l’esecutivo a trasformare l’antidoto al coronavirus in un fatto ideologico, in qualcosa che fanno i soggetti perbene, i progressisti, i radical-chic, ragionevoli, raffinati e buoni. E in questo periodo storico, segnato dalla crisi di credibilità oltre che di contenuti della sinistra, di sicuro non è stata una mossa molto intelligente.

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