Fino a qualche settimana fa si discuteva riguardo l’ipotesi di aprire i ristoranti pure a cena, si erano espressi a favore, ad esempio, il leader della Lega Matteo Salvini e Stefano Bonaccini, presidente della Regione dell’Emilia-Romagna, da un momento all’altro invece – la colpa ovviamente è sempre del virus che corre più di noi – si ventilava l’ipotesi di sigillarli anche a pranzo e all’improvviso – bando alle ciance – ecco che sono stati chiusi del tutto, giorno e sera. Fine della discussione. Quanto a progressi non vi è dubbio che ne stiamo compiendo tanti. Peccato che siano verso il baratro, poiché, presi come siamo da oltre un anno dal terrore di crepare a causa del virus made in China, ci siamo dimenticati che si muore altresì di fame, stenti, inedia, depressione, alcolismo, disperazione, miseria assoluta e malattie conseguenti.

Povertà e disoccupazione crescenti ci impongono adesso delle riflessioni non prorogabili. E una di queste riguarda l’opportunità o meno di consentire alla gente, osservando scrupolosamente determinate regole, di accedere ai ristoranti. Insomma, davvero impedire a ristoratori e camerieri di accogliere e servire clienti costituisce un provvedimento indispensabile ed efficace nel contrasto alla epidemia? È vero che recandoci al ristorante rischiamo di infettarci mentre facendoci portare da un fattorino il cibo a casa, cibo cucinato altrove e passato poi di mano in mano, tra preparazione, confezionamento, trasporto e consegna, non corriamo alcun pericolo? La consegna al domicilio è più sicura rispetto al consumo del pasto al tavolo di un locale?

Non ne siamo così certi. Ed i motivi sono svariati. I piatti gustati al ristorante passano dalla cucina al tavolo e questo passaggio (di pochi metri) coinvolge due persone, che sono cuoco e cameriere. I piatti ordinati e recapitati, invece, passano dalla cucina all’area in cui vengono confezionati, restano esposti finché il fattorino non arriva e qualcuno gli porge la busta contenente le vivande, busta che viene caricata all’interno di un contenitore lurido, non disinfettato, continuamente manipolato e gettato sul marciapiede tra una ordinazione e l’altra, tra una corsa e l’altra. Il pasto poi viaggia su una bici o un motorino per diversi chilometri e infine, dopo un tragitto che può variare per tempistica, perviene a coloro che lo ingurgiteranno. È chiaro che questa seconda modalità di consumo è più articolata e lunga della prima ed è quindi evidente che codesti step accrescono la possibilità che la merce entri a contatto con il virus o con un soggetto contagiato.

Ma non finisce qui. I locali-cucina sono spesso in bella vista nei ristoranti cosicché gli avventori possono gettare lo sguardo dentro e osservare cuochi e chef in azione, i quali quindi saranno più scrupolosi nella applicazione delle norme igieniche e delle disposizioni anti-covid. In assenza della supervisione dei clienti siamo convinti che chi è deputato alla preparazione abbia la medesima attenzione? Non sarebbe meglio consentire alla clientela di essere presente nel luogo in cui ciò che mangia viene cucinato anziché vietarle di esserci?

Inoltre, nei locali il numero delle persone che possono sedere alla medesima tavola è contingentato, nelle abitazioni private invece è più facile che individui in numero eccessivo si riuniscano per cenare in compagnia, non potendo farlo fuori.

Infine, il trasporto di alimenti in contenitori non sterili e non isotermici né frigoriferi, attraverso lunghi tragitti, anche in assenza di coronavirus, può rappresentare una insidia per la nostra salute? La risposta non può che essere affermativa. I fattorini del cibo a domicilio operano nella totale illegalità. Una illegalità protratta alla luce del sole, senza che nessuno ci badi. L’esposizione a temperature superiori ai 4 gradi centigradi per alimenti freschi o a temperature inferiori ai 60 gradi centigradi per alimenti deperibili cotti da consumarsi caldi determina un repentino cambiamento della carica batterica dei cibi. Ecco perché chi si occupa di trasporto per conto terzi di alimenti (imprese di catering, le quali sono obbligatoriamente munite di mezzi con attestazioni specifiche) è sottoposto ad una legislazione molto rigida ed i conducenti dei veicoli sono responsabili penalmente della conservazione. Le stesse disposizioni però – e non se ne comprendono i motivi – non vengono applicate nei confronti dei fattorini in bicicletta che lavorano per le multinazionali che peraltro li sfruttano.

Dobbiamo concludere dunque che mangiare al ristorante è di gran lunga più salubre e sicuro che mangiare a casa propria vivande preparate altrove e consegnate a domicilio. Se la salute ci sta davvero a cuore, riapriamo i locali.

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