Dopo essere retrocessa dalle periferie per rinchiudersi nei fastosi palazzi del centro, ed avere abbandonato le cause delle fasce più deboli della cittadinanza al fine di concentrarsi sulla battaglia per il mantenimento all inclusive di clandestini, la sinistra italiana ha anche ridimensionato dialettica ed argomentazioni, scadendo in una banalità raccapricciante che la induce a tirare fuori contro l’avversario politico le solite accuse trite e ritrite, le quali ormai hanno stufato.
Gli insulti più in voga sono “fascista”, “razzista”, “populista” e, ovviamente, “sessista”. Chi non si adegua al pensiero unico dominante, chi osa distinguersi, dissentire, rifiutare la retorica buonista, si ritrova immediatamente tacciato di essere un seguace di Benito Mussolini, di stare riorganizzando il ritorno della dittatura in Italia, di odiare i neri, di essere rozzo ed ignorante e pure di ritenere che le donne siano esseri inferiori, che debbano vivere rinchiuse tra le quattro mura e dedicarsi a mariti e prole, mantenendo un atteggiamento umile e sottomesso.
È un femminismo perverso quello dei progressisti: non si scompongono alla vista delle signore che passeggiano con il burqa persino nelle nostre metropoli; non si indignano quando le bambine islamiche vengono ritirate dalle scuole dell’obbligo per essere preparate in casa al matrimonio combinato, o quando vengono infibulate per consegnarle a maschi che le sconfezioneranno come fossero pacchi-regalo la prima notte di nozze; e soprattutto sono sempre pronti ad essere indulgenti persino con lo stupratore, se questi è africano.
Nessuno meglio di lei incarna lo stereotipo del sinistroide dei nostri giorni: Maria Elena Boschi si è scagliata contro il ministro dell’Interno Matteo Salvini, incriminandolo di sessismo, in quanto quest’ultimo ha condiviso sui social network l’immagine della prima pagina di Libero in cui campeggiava la foto della deputata democratica accompagnata dal titolo “Parola d’ordine: sfiduciare Salvini. Mozione presentata da Boschi”. I giornali fanno quello che devono: informano raccontando la verità dei fatti. Ed è un fatto che l’ex ministro delle riforme del governo Renzi sia autrice di codesta mozione. Ciò che Maria Elena non ha gradito è che Salvini abbia commentato: “Ma questi hanno ancora il coraggio di parlare?”, riferendosi chiaramente ai membri del Pd che hanno governato con risultati discutibili.
Il post del segretario del Carroccio ha raccolto numerosi commenti di critica nei confronti di Boschi da parte degli utenti della rete, che non si distinguono per educazione e civiltà, purtroppo. Ma Matteo può rispondere delle sue parole e non certo di quelle di migliaia di leoni da tastiera.
“Salvini scatena l’odio sessista contro di me. Ma io non mollo, non taccio. Per me fare opposizione significa non avere paura di Salvini e di quelli come lui”, ha scritto sui social Boschi, facendo ciò che sanno fare meglio le femminucce di oggi: penoso vittimismo. Se il leader del Carroccio avesse affermato che Maria Elena è una stupida poiché è di genere femminile e deve per questo restare fuori dalle istituzioni, allora sì che saremmo insorti tutti contro di lui e a buona ragione lo avremmo ritenuto uno schifoso maschilista. Eppure il vicepremier non si è scagliato contro la deputata, non l’ha oltraggiata, è stata quest’ultima semmai a strumentalizzare un post per rilanciare la solita imputazione, in mancanza di solidi argomenti politici.
Maria Elena ha incassato la solidarietà delle sue colleghe di partito. “Salvini venga in aula a rispondere di questa violenza. E le ministre della Lega dicano qualcosa. Se riescono”, ha twittato la senatrice del pd Simona Malpezzi. “Salvini fa la propaganda sul codice rosso ed è lui a scatenare la violenza contro le donne”, osserva un’altra parlamentare democratica, Alessia Morani. Poi la ciliegina sulla torta: “Salvini è il mandante di quest’odio. Dobbiamo reagire e stare a fianco alle tante troppe donne bersaglio di insulti sessisti gravissimi, intollerabili, inaccettabili”, dichiara la senatrice del pd Valeria Fedeli.
Anche io qualche mese fa ho ricevuto terribili affronti sui social network dopo che Luigi Di Maio ha pubblicato la prima pagina di Libero dal titolo “Comandano i terroni” (articolo di cui ero autrice), stravolgendone il senso. Sono stata chiamata puttana, pennivendola, ignorante, tralascio i termini peggiori, che comunque non mi fanno effetto. “Come è arrivata questa qui a Libero? Lo possiamo immaginare”, “Chi ha messo la penna in mano a questa demente?”, i commenti più ameni. E poi mi è stato augurato di morire in preda ad atroci malattie, ma non mi sono sognata di piagnucolare e di accusare il vicepremier grillino di essere sessista. In quanto so che la parità implica che un mio articolo venga criticato come quello di qualsiasi altro collega di sesso opposto. E pretendo che sia così. Nessuno sul lavoro osi trattarmi con i guanti bianchi solo perché sono femmina.
Non esiste azione più vile e meno dignitosa del servirsi di qualsiasi azione altrui, sebbene provenga da un nemico, per indossare i panni del martire.
Noi donne non dovremmo sprofondare in simili bassezze.
Articolo pubblicato su Libero il 21 luglio del 2019