Nulla è più potente dell’istinto alla Vita. Quel desiderio di vivere ad ogni costo, di resistere, di non finire traspare dallo sguardo del toro protagonista di un video della durata di appena 42 secondi che in queste ore è diventato virale sul web. La bestia appare molto provata a causa delle vessazioni e delle ferite subite dal torero trentanovenne Jose Antonio Morante Camacho, conosciuto come Morante de la Puebla, durante la corrida alla Fiera di Siviglia, tenutasi il 12 maggio scorso.
Si regge a stento sulle quattro zampe ed avanza verso l’unico riferimento che rintraccia all’interno dell’arena, ossia il suo carnefice, al quale si appropinqua come se volesse chiedere aiuto, o implorare pietà. La bestia, che perde copioso sangue, tiene il capo chino avendo i muscoli del collo e del dorso macellati dalle armi di metallo con le quali è stato ripetutamente infilzato. È semi-agonizzante, moribondo, e tra poco il torero lo annienterà con un colpo scagliato dritto al cuore, così come prevede la barbara tradizione. Eppure qualcosa di anomalo accade. Il bovino, che sembra un dolce agnellino, è ormai tanto vicino al suo aguzzino che questi potrebbe porgergli una carezza. I due si guardano negli occhi. Comunicano in silenzio. La platea che si gusta questo spettacolo di morte resta muta, immobile. Forse la tenerezza che tracima dalle pupille del toro potrebbe corrompere l’animo sadico del matador, che in effetti esita, come se non volesse ammazzare l’animale inerme.
È uno di quei momenti che potrebbero cambiare tutto, in cui qualcosa di straordinario potrebbe succedere. Ed ecco che l’uomo, scintillante nel suo completo dai colori sgargianti, tira fuori dalla tasca un fazzoletto bianco ed immacolato e la tanto agognata carezza giunge finalmente al viso disperato ed insanguinato del toro, che piange come un bambino. Commosso da quell’atto di amore da parte di chi lo stava torturando. Il matador asciuga le lacrime e pure il sangue che continua a scorrere sul muso del bovino. Un gesto di pietà, saremmo portati a credere.
Invece no. Il video si interrompe qui, sulla mano piena di schizzi scarlatti che stringe una stoffa candida che sfiora dolcemente l’animale, il quale sembra godere – nonostante il dolore che lo affligge – di quel tocco amorevole. Ma l’epilogo truce stravolge il senso di quanto è avvenuto, rivelando la vero significato del gesto del torero. Non si tratta di misericordia, bensì di diabolica spietatezza. Morante de la Puebla si è preso gioco della sua vittima, l’ha sbeffeggiata, ingannata, illusa, ridicolizzata prima di sferrare la pugnalata mortale.
Dovrebbe essere uno spettacolo che esalta il coraggio e la destrezza del torero la corrida, in verità essa non è altro che la spettacolarizzazione dell’agonia di un essere vivente. Di chi lo macella non emergono le lodate virtù, bensì disumanità e vigliaccheria, poiché facile è combattere contro chi è disarmato e reso inoffensivo. Insomma, si tratta di uno show che ci rende di volta in volta peggiori, ma che tuttavia continua ad essere messo in scena e riproposto ad un pubblico che seguita ad apprezzarlo, come facevano gli antichi romani allorché assistevano alle esecuzioni capitali all’interno del Colosseo o alla tragica fine di schiavi e gladiatori dati in pasto a belve feroci. Sono trascorsi millenni, eppure resiste in noi quel tratto di crudeltà bieca che ci porta a gioire del dolore altrui e ad acclamare l’assassino.
Soltanto in Spagna durante le corride vengono mortalmente martoriati ogni 12 mesi oltre tre mila tori. Si stima che questo fiume di sangue generi un giro d’affari di oltre 3 miliardi di euro ogni anno (3,5 miliardi nel 2014), attirando milioni di spettatori da tutto il mondo. La tauromachia viene difesa nella sua patria e dal 2013 è considerata patrimonio culturale della penisola iberica. Ma qui c’entrano poco la cultura e tanto il business.
I bovini, prima di essere obbligati al combattimento, vengono vessati e sfibrati per giorni, costretti al buio e al digiuno, privati pure dell’acqua e colpiti ai reni con dei pesi. Nei loro corpi vengono inseriti aghi, nelle narici e nella gola stoppia per ostacolargli la respirazione, sugli occhi viene applicato uno strato di vaselina al fine di annebbiarne la vista, le zampe vengono irritate con la trementina, per indurli a non stare fermi. Insomma, il toro entra nell’arena già terrorizzato e svigorito, con un arpione conficcato tra collo e scapole. Viene infilzato con lance acuminate da due picadores a cavallo, mentre tre banderilleros piantano nelle carni dell’animale tre arpioni in acciaio lunghi circa 6 cm e larghi 4. Più il toro corre disorientato in cerca di una via di fuga, più queste fiocine affondano nelle sue membra provocandogli una sofferenza atroce e stremandolo.
Insomma, il bovino viene consegnato al matador già quasi esanime. La corrida è il retaggio di una manifestazione dell’epoca medioevale in cui gli aristocratici dimostravano il proprio onore. Ma qualcuno dovrebbe spiegarci, se ce la fa, cosa ci sia mai di nobile nel massacrare chi è indifeso e boccheggiante. Chi piange e mesto implora aiuto guardandoci negli occhi.
Articolo pubblicato su Libero il 19 maggio 2019