Esiste un solo modo di nascere ma esistono infiniti modi di morire, alcuni dei quali possono essere alquanto bizzarri. Di decessi grotteschi, strambi, misteriosi, o addirittura imbarazzanti, sono stati protagonisti pure donne e uomini famosi. Come il presidente della Repubblica francese Fèlix Faure (1841-1899). Fèlix, esponente dei Repubblicani moderati, intraprese la sua carriera politica come oppositore di Napoleone III nel 1865, ma fu nel 1895 che divenne presidente, almeno fino al 1899 quando perì nel primo pomeriggio del 16 febbraio, nella sala blu dell’Eliseo, mentre la sua amante, Marguerite Steinheil, gli praticava una fellatio.
La curiosa dipartita di Faure destò scandalo ed i suoi avversari si divertirono nel partorire motteggi. Eccone uno: “Volle impersonare Cesare ed è morto Pompeo”. Quanto a Marguerite, si dice che tale evento fatale la rese famosa nonché corteggiatissima da benestanti signori.
Anche a Luigi III di Francia (863-882) i giochi amorosi costarono la pellaccia. Secondo lo storico Christian Settipani, il sovrano, mentre inseguiva a cavallo una donzella, andò a sbattere contro un architrave e si fracassò letteralmente la scatola cranica. Insomma, è il caso di dirlo: l’amore fa perdere la testa.
Uwe Barschel, ex ministro degli Interni Federale della Germania (1944-1987), fu trovato completamente vestito in una vasca da bagno piena d’acqua di un lussuoso albergo di Ginevra. Sul pavimento nessuna traccia di acqua. Il viso dell’uomo era poggiato sul suo braccio, avvolto in un asciugamano. Una scomparsa oscura, ancora oggi non si sa con certezza se si trattò di omicidio o suicidio.
Di sicuro si tolse la vita Mitridate (123 a.C.-63 a.C.), uno dei più formidabili avversari della Repubblica romana. Il sovrano, che temeva di essere consegnato ai romani, prima ingerì del veleno, a cui risultò immune, dopo si fece aiutare da un generale a trafiggersi con la spada.
Estinzione più lieta fu quella di Martino I di Aragona (1356-1410), il quale morì dal ridere, proprio come il poeta Pietro Aretino nel 1556, il pittore greco Zeusi nel V secolo a.C., il filosofo stoico del II secolo a.C. Crisippo di Soli, che prese a sghignazzare in maniera incontenibile vedendo un asino che masticava dei fichi. Rise a crepapelle, fino all’ultimo respiro, allorché gli comunicarono che Carlo II d’Inghilterra era salito al trono, nel 1660, pure Thomas Urquhart, aristocratico scozzese. E una leggenda vuole che il commediografo nonché attore teatrale francese Molière si sbellicò a morte nel tentativo di recitare le sue battute.
Federico di Svezia (1710-1771), invece, tirò le cuoia dopo avere divorato in un unico pasto chili e chili di aragoste, caviale, crauti, aringhe affumicate, innaffiando il tutto con litri di champagne e concludendo il banchetto con giusto 14 porzioni del suo dolce preferito, la semla. Ecco perché gli svedesi lo ricordano come il re che mangiò fino alla tomba. E di golosità forse perì pure il poeta Giacomo Leopardi.
Secondo uno studio condotto dal professore Gennaro Cesaro, Leopardi, il quale era ghiotto di dolciumi, la sera prima di spirare avrebbe spazzolato addirittura un chilogrammo di confetti cannellini di Sulmona. Per la ragione opposta, ossia per denutrizione, schiattò il matematico e filosofo austriaco Kurt Gödel (1906-1978). Kurt, ossessionato dal terrore che le pietanze potessero essere avvelenate, ingurgitava soltanto ciò che cucinava sua moglie. Allorché ella fu ricoverata per sei mesi in ospedale, l’uomo restò a stecchetto fino a restare stecchito. Pesava solo 29 kg.
Per non avere fatto la pipì si spense l’astronomo Tycho Brahe (1546-1601), undici giorni dopo lo scoppio della vescica avvenuto durante un convivio. Tycho riteneva che abbandonare la tavola prima del dessert per recarsi in bagno non sarebbe stato educato, quindi si trattenne, provocandosi danni irreparabili.
I vizi – è noto – possono uccidere. Incluso quello del fumo. L’arciduchessa Matilde d’Asburgo, fanciulla ribelle e spregiudicata, la sera del 22 maggio del 1867, già pronta per trascorrere una serata a teatro, accese l’ultima sigaretta prima di uscire. E fu proprio l’ultima, poiché all’improvviso nella sua camera entrò qualcuno e la ragazza, al fine di evitare una strigliata, nascose la paglia tra le pieghe del gigantesco abito di tulle che prese fuoco in tempi record rendendola una torcia umana.
Altrettanto tragica fu la dipartita della ballerina statunitense Angela Isadora Duncan (1877-1927), reputata la madre della danza moderna. Il 14 settembre del 1927, a Nizza, l’estremità della lunga sciarpa che la signora portava al collo si impigliò nei raggi della ruota posteriore della Bugatti cabrio sulla quale era appena salita salutando gli amici con una frase che dà i brividi: “Addio, cari, vado verso la gloria!”. C’è chi sostiene che le ultime parole di Isadora furono: “Sono innamorata”, o “Vado verso l’amore”. Ella si riferiva al conducente della vettura con il quale stava raggiungendo l’albergo in cui alloggiava. Quando la scrittrice statunitense Gertrude Stein, la quale conosceva Duncan, apprese della scomparsa di questa, commentò: “Certi vezzi possono risultare pericolosi”.
Chissà se Gertrude si riferiva alla sciarpa, alla Bugatti scoperchiata o al fidanzato!
Articolo pubblicato su Libero il 27 giungo del 2020