È una macelleria quotidiana quella che vivono i bianchi in Sudafrica, uno dei Paesi con il più alto tasso di criminalità al mondo dove lo scorso anno si sono registrati 19 mila omicidi, ossia oltre 52 al giorno. Gli episodi di violenza sono in costante e tragico aumento a causa non solo della crisi economica, che sta riducendo alla fame grandi fette della popolazione, ma anche e soprattutto del dilagare del razzismo dei neri nei confronti di coloro che hanno una carnagione chiara.
Negli ultimi anni i bianchi, molti dei quali licenziati all’improvviso, sono ghettizzati e vivono in comunità di poveri sempre più nutrite ai margini della società, in tende o roulotte. Cercano di andare avanti grazie all’elemosina, dato che trovare un lavoro è quasi impossibile in quanto vengono scartati proprio a causa della loro pigmentazione. Anche le professioni pubbliche sono riservate a persone di colore, la preparazione e l’esperienza sono criteri poco considerati. In generale, si è imposta una politica per cui si predilige lasciare i posti vuoti piuttosto che assumere individui con la pelle chiara. Persino negli annunci di lavoro viene specificato che si cercano solo candidati neri.
È una sorta di apartheid al contrario, messa in piedi e sostenuta dal governo.
Ad essere presi di mira sono soprattutto gli agricoltori di origine olandese, i boeri, sui quali viene scaricato l’inestinguibile sentimento di vendetta della comunità indigena che desidera lavare con il sangue il ricordo delle persecuzioni razziali e riprendersi a colpi di machete e di arma da fuoco ciò che apparteneva loro in origine, ossia la terra.
Già dagli anni ’90, dopo la fine dell’apartheid (1991), i boeri, o afrikaners, che dal ‘600 si sono stabiliti in quelle che un tempo erano savane incolte e spopolate nell’entroterra e continuano a parlare una sorta di dialetto olandese, sono ogni giorno vittime di soprusi, rapine, violenze sessuali, atroci torture, mutilazioni, omicidi brutali da parte di neri che irrompono nelle loro proprietà agricole soprattutto nel cuore della notte. Il governo e la polizia ignorano questi fenomeni, che per questo sono diventati sempre più consueti, addirittura leciti. È diffusa la convinzione che i bianchi si meritino tali rappresaglie e che i neri siano in diritto di massacrarli.
È silenzioso lo sterminio degli agricoltori, o farmers, che hanno anche il divieto di possedere armi, dunque di difendersi. Non gli resta che barricarsi nelle loro fattorie, che assomigliano a fortezze, temendo che da un momento all’altro vi facciano irruzione le bande di criminali per massacrarli senza pietà. Neanche i bambini vengono risparmiati.
A rendere ancora più preoccupante la situazione è intervenuta a fine febbraio l’approvazione a larga maggioranza da parte del parlamento sudafricano di una mozione, proposta dal partito di sinistra radicale Economic Freedom Fighters, che consentirà l’esproprio delle terre dei bianchi senza indennizzo al fine di restituirle ai neri.
“Questo emendamento, che si prevede venga reso costituzionale questa estate, legalizza di fatto una violenza che era strisciante e legittima il sentimento di rivalsa dei neri, che, invece di stemperarsi nel tempo, si è acuito”, spiega Marco Lombardi, direttore di Itstime e docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sottolineando che “In un Paese in cui il 73% del territorio appartiene ai bianchi, i quali costituiscono il 15% della popolazione, è evidente che esiste una sproporzione problematica, ma questo non rende necessario il ricorso alla forza per creare un equilibrio”.
Strappare le coltivazioni ai boeri che le hanno rese produttive per frammentarle e assegnarle ai neri, privi di qualsiasi esperienza, significa anche condannare il Paese alla fame, così come è accaduto in Zimbabwe, dove una quindicina di anni fa i terreni furono confiscati alla minoranza bianca, espulsa dal Paese, per essere ceduti alla popolazione di colore che, non essendo capace di prendersene cura per mancanza di formazione, li ha trasformati in campi abbandonati, determinando il crollo della produzione agricola. Insomma, la redistribuzione così attuata è destinata a fallire, segnando la rovina economica nazionale. Tuttavia, neanche questo esempio distoglie il Sudafrica dal suo proposito né attenua la sua furia vendicativa.
È facile prevedere che nei prossimi mesi la persecuzione nei confronti dei contadini assumerà le proporzioni di un vero e proprio genocidio. Già oggi uccidere un individuo non di colore è diventato un fatto normale, persino giusto. Ecco perché la situazione è tragica. “Molti farmers sono scappati, raggiungendo l’Europa o gli Stati Uniti. Quelli che restano vivono nella paura e si aspettano “bloody years”, ossia anni sanguinosi”, commenta il docente. I leaders dei partiti di sinistra mirano addirittura all’annientamento totale dei bianchi nel giro di 5 anni.
Ciò che sta avvenendo da quelle parti ci riguarda da vicino. “Oggi il razzismo sta assumendo nuove forme e si realizza in atti di coercizione di un gruppo nei confronti di un altro, per motivi etnici, o religiosi, o di altro genere. Il senso di appartenenza è il motivo che sta alla base di comportamenti aggressivi sempre più dilaganti anche in Europa”, conclude Lombardi. Ecco una delle storture di una globalizzazione a cui abbiamo assistito a braccia conserte restandone vittime, e che non riusciamo a digerire.
Articolo pubblicato su Libero 3 aprile 2018