Il tunisino irregolare, 53 anni, che martedì ha ammazzato a coltellate don Roberto Malgesini, a Como, sotto l’abitazione del sacerdote noto per il suo impegno a favore dei migranti, ha confessato di avere trucidato il parroco poiché temeva il rimpatrio. Avrebbe agito dunque per paura, eppure l’uso dell’arma bianca che comporta un contatto diretto con la vittima rivela rabbia, livore, odio, volontà di annientare l’altro, in questo caso il povero don Malgesini che al senzatetto, il quale dormiva nei posti letto messi a disposizione dei clochard, aveva fatto soltanto del bene.
Ricordiamo che il tunisino, che adesso dovrà rispondere del reato di omicidio volontario, aveva collezionato precedenti penali nonché diversi decreti di espulsione. Rimasti lettera morta, purtroppo. Come accade sempre.
Aveva addotto più o meno le medesime scuse al fine di giustificare la sua condotta criminale pure Emmanuel, l’extracomunitario di 39 anni, proveniente dal Ruanda, che a luglio di quest’anno ha incendiato la cattedrale gotica di Nantes, in Francia. L’uomo aveva spiegato agli inquirenti: “Ero arrabbiato perché mi era stato negato il visto”. Gli impiegati della cattedrale, primo tra tutti padre Champenois, lo avevano sempre aiutato.
Ecco l’ingratitudine tipica di chi arriva qui pieno di pretese e nessuna intenzione di adeguarsi alle nostre leggi nonché di rispettare i nostri usi e costumi. E già c’è chi vorrebbe quasi assolvere l’assassino di don Malgesini, dipingendolo addirittura quale martire di un sistema, un sistema che però ha accolto e mantenuto il tunisino sebbene questi non avesse alcun diritto di giungere, stare e permanere in Italia.