Amarsi e non dirselo. Per giorni, mesi, anni. Nell’epoca dei sentimenti sbandierati sui social network e in televisione e trasformati in show appare uno scenario improbabile che si possa scegliere la via del silenzio, tacendo le proprie emozioni più intense a chi le suscita.
Eppure il vero amore implica il riserbo, l’intimità delle anime, l’attesa che dà il batticuore, il distacco che provoca dolore. Più tempo è necessario perché un rapporto si instauri e cresca, più floridi saranno i suoi frutti e più solido il legame. Tutto il resto è stropicciamento di lenzuola, illusione del momento, distrazione e noia.
A concepire un amore a ritmo lento è un uomo, l’avvocato Francesco Marino, siciliano di origine e milanese d’adozione, il quale nel suo nuovo romanzo “Lo chef consiglia amore”, edito da Cairo, narra la storia di Gilbert Canton, parigino di discendenza italiana e chef stellato di un ristorante della capitale francese.
Egli è innamorato della bella e introversa sous chef, Juliette De Prez, soltanto che non lo sa, o cerca di negarlo persino a se stesso, poiché i sentimenti a volte ci fanno paura. E per coloro che sono abituati ad avere il totale controllo della propria esistenza essi costituiscono un pericolosissimo salto nel vuoto: si rischia di spaccarsi le ossa. Gilbert ha un obiettivo professionale da perseguire: conquistare la terza stella Michelin, che lo consacrerà nell’empireo dei grandi della cucina internazionale. È un giovane di straordinario successo, ed è strano come proprio le persone che sono concentrate sulla propria realizzazione professionale nonché animate da una passione profonda per il mestiere svolto a volte sfuggano all’amore, lo trascurino, quasi che esso rappresenti una minaccia.
Canton, tuttavia, ha bisogno, per creare i suoi piatti, dell’ispirazione che l’innamoramento infonde, e questo slancio lo trova nella misteriosa fanciulla, Giselle, che ogni mattina, all’alba, entra nel portone posto davanti alla finestra dello chef. Giselle, mai vista da vicino, mai sfiorata, induce Canton a sognare ed il sogno è la via maestra che conduce l’uomo a ideare sorprendenti ricette.
Ma Giselle è anche colei che allontana lo chef dal suo vero amore, che ogni dì gli sta gomito a gomito in cucina: Juliette. Non vi sveliamo come finirà questa storia, vi lasciamo il piacere di scoprirlo da voi leggendo il romanzo di Marino, dalla cui penna emerge quella sensibilità che si ritiene, a torto, sia appannaggio esclusivo del gentil sesso.
Egli è riuscito a descrivere mirabilmente i pensieri e le ansie di un maschio con l’animo in subbuglio, che si trova diviso tra il desiderio di lasciarsi andare a ciò che sente e il timore di farlo, di essere rifiutato, deluso, dimenticato, smascherandosi a se stesso fragile. E questo ci fa comprendere quanto i due generi si assomiglino, al di là di ogni stereotipo sedimentatosi nel tempo, al di là del pregiudizio che vorrebbe gli uomini insensibili e le donne sentimentali. I primi interessati al sesso, le seconde al matrimonio.
Gilbert non mira al soddisfacimento dei suoi istinti: Giselle non è una ragazza da portarsi a letto, bensì una fanciulla sulla quale fantasticare, qualcosa verso cui tendere e non qualcosa da possedere.
Il libro di Marino è forse pure un invito, o almeno ci sia concesso di interpretarlo così, ad assaporare le emozioni senza divorarle, senza inghiottirle e distruggerle. Corriamo sempre, corriamo troppo, con la fretta di chi deve arrivare da qualche parte, senza sapere dove, e lo facciamo altresì in campo amoroso, come se al traguardo ci toccasse una medaglia o come se fossimo interessati soltanto all’accumulo di amori abortiti o naufragati. Per amare davvero è necessario fermarsi. Soffermarsi un po’ davanti alla finestra. Trattenersi un attimo ancora davanti agli occhi chi ci osservano. Ascoltare immobili e in religioso silenzio ciò che tenta di comunicarci il cuore.
Una esistenza vuota di amore è possibile. Certo. E può essere costellata di soddisfazioni, vincite e rivincite. Non è mica obbligatorio cadere sotto i dardi di Eros. Tuttavia, non sentire le farfalle nello stomaco, non tremare per l’emozione, non sciogliersi per un bacio o nelle lacrime, è vivere a metà.