Nel Vecchio Continente ci si ammazza più che nel Nuovo. Il record mondiale di suicidi (15,4 per centomila, nelle Americhe invece il tasso è di 9,8 per centomila, dati Oms) che si è registrato in Europa già prima della esplosione dell’epidemia non è soltanto preoccupante ma anche indicativo di un malessere profondo che serpeggia da queste parti e che, pure nei più rosei pronostici, è destinato a peggiorare sotto la spinta di una crisi economica senza precedenti, innescata dalle drastiche misure adottate dai governi allo scopo di arginare la diffusione del contagio.

Del resto, se da un lato è vero che a provocare il male, o la noia, di vivere sia il possedere troppo che talvolta conduce alla nausea; dall’altro è altrettanto innegabile che, come sosteneva l’attrice Marilyn Monroe, morta suicida, “è meglio piangere sul sedile posteriore di una Rolls Royce piuttosto che su quello di un vagone del metrò”. E chi oserebbe darle torto?

C’è chi si toglie la vita per amore, chi per tedio, chi perché assalito dai debiti. Ognuno di coloro che compie tale gesto estremo ha le sue “buone” ragioni per farlo e nessuna risulta mai abbastanza valida a chi resta, in quanto la brama di vivere costituisce l’istinto più naturale e radicato che animi qualsiasi creatura, dalla piantina che solleva verticalmente gli steli alla disperata ricerca del sole e della luce, alla bestiolina investita che si trascina con le zampine anteriori in un luogo riparato, all’essere umano il quale, dopo essere caduto, si rialza e prosegue e cura le cicatrici e non perde mai la fiducia in un domani migliore.

Ecco perché occorre concludere che se in Europa tanti individui scelgono di farsi fuori è poiché qui la speranza, che dovrebbe essere l’ultima a spegnersi, sta tramontando da un pezzo. Il sogno stesso di Unione Europea è fallito, il progetto di creazione di un popolo europeo non è neppure mai stato preso sul serio, ammettiamolo. C’è voglia di separarsi in casa, di mandare al diavolo il vicino-nemico, ma soprattutto di divorziare da una Bruxelles che sembra sorda e cieca, oltre che lontanissima. Gli europei si sono disingannati e il grande carrozzone perde pezzi importanti. A ciò si aggiungano altre problematiche: il sentimento di paura che si respira in certe splendide capitali troppe volte colpite al cuore dal terrorismo islamico che ha sparso copioso sangue; la spinta di una immigrazione illegale massiccia che è di fatto incontenibile e perciò viene vista come una minaccia; la perdita di identità che investe il continente, che, piegatosi al politicamente corretto, ha rinunciato ai propri simboli e alle proprie tradizioni allo scopo di non offendere i suoi ospiti. Quella dell’Europa, insomma, è altresì una crisi di valori, quindi di capisaldi fondamentali, la quale inevitabilmente sfocia nel nichilismo e nell’esaltazione della morte rispetto alla vita.

Il coronavirus ci renderà migliori? Macché! Per adesso la pandemia, lungi dall’averci reso più generosi e gentili, non ha fatto altro che accrescere un senso di frustrazione e di rabbia (già latente), destinato a tracimare nella rivolta sociale, nell’odio, nell’egoismo, nella chiusura ermetica nei confronti dell’altro. Costretto in casa, obbligato a non lavorare, limitato nelle sue libertà fondamentali, braccato dal terrore di infettarsi e pure di crepare di fame, posto insomma tra l’incudine e il martello, perseguitato dai toni allarmistici adoperati dai media che lo bersagliano notte e giorno, l’individuo rivolge la sua acredine verso chiunque e per qualsiasi motivo, persino il più banale.

Gli europei continuano a suicidarsi in quanto l’esistenza fa loro schifo, il mondo che abitano fa loro schifo: esso pretende elevate performance ma spesso il compenso è misero o inesistente. E tutto l’esistere diventa una corsa verso una meta sconosciuta e sempre irraggiungibile. Oggi più di ieri. Il domani non mai è stato tanto nebuloso, visto dalla piccola grande Europa.

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