Seppure temporaneamente ti dimentichi di fido o micio per dedicarti ai tuoi porci comodi, commetti un illecito. Ormai è pacifico che il reato di abbandono di animali si configura pure quando una bestiolina è lasciata da sola per un periodo determinato e non esteso, anche perché ciò cagiona uno stress psicofisico alla creatura nonché un grave patimento. A chiarirlo è stata la Cassazione, che ha ritenuto inammissibile il ricorso contro una sentenza, emessa dal tribunale di Ivrea lo scorso gennaio, con la quale una imputata era stata condannata per avere affidato, prima di partire per la lunga pausa estiva, i suoi tre gatti ai figli minori, i quali vivono con il padre e i nonni e dunque avrebbero potuto recarsi a curare i felini a giorni alterni.

La Corte ha posto in luce che i fanciulli, a causa della loro età, non possono essere ritenuti adeguati al ruolo che in questo caso aveva posto sulle loro spalle la genitrice, la quale se ne era andata beatamente in vacanza senza preoccuparsi dei gatti, uno dei quali molto malato e bisogno di assistenza veterinaria. Allorché erano entrati nella abitazione della signora allo scopo di compiere un sopralluogo, i carabinieri e la guardia zoofila avevano riscontrato evidenti condizioni di degrado, caratterizzate da mancanza di igiene, assenza di cibo e persino di acqua, dato che la ciotola conteneva solo un residuo stagnante, la lettiera si presentava sporca, inoltre i pavimenti, il divano e i mobili erano pieni di urina ed escrementi, prova non soltanto di uno stato di incuria ma anche del malessere psicologico inflitto alle bestie, affamate e costrette in una stanza, al buio, in totale solitudine. In una situazione particolarmente critica versava il gatto il cui volto appariva invaso da un tumore gigantesco. Inutili si sono rivelati i due immediati interventi chirurgici per salvargli la vita, tanto che è stato necessario sopprimere la bestia per risparmiargli una terribile agonia. Mentre i quattro zampe se ne stavano segregati nell’appartamento della proprietaria, quest’ultima si godeva il sole e il mare. Eppure la signora si reputa innocente: ella, che puntualizza di avere fatto affidamento sulla collaborazione dei figli minori, sostiene che, in fondo, era sì lontana, ma mica per sempre, sarebbe prima o poi rincasata. La ricorrente, la quale evidentemente non è consapevole del fatto che un micio è morto proprio per privazione di cure mediche e che gli altri due non stavano tanto meglio, ha altresì argomentato che per comune esperienza un felino può resistere da solo per giorni senza subire conseguenze. Cosa non vera: i gatti, al pari dei cani, sebbene siano dotati di un’indole indipendente, sono esserini bisognosi di amore e di protezione. Per quanto riguarda la sporcizia presente nell’abitazione, la signora la riconduce alla visita dei ladri nonché al caldo.

Tali giustificazioni non hanno convinto affatto i giudici i quali sottolineano che penalmente “assumono rilievo non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione”. Il Collegio ha concluso che la proprietaria avrebbe dovuto affidare i mici non ai figli minori, non adatti al compito, bensì ad una struttura di custodia e cura, pubblica o privata. Quindi, l’abbandono sussiste non soltanto quando il cane o il gatto vengono parcheggiati in autostrada in attesa che qualcuno li soccorra o li investa, ma pure quando il cucciolo rimane a casa incustodito mentre coloro che si sono assunti, adottandolo, la responsabilità di accudirlo volgono altrove lavandosene le mani.

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