Chanel, Dior e Guerlain non possono farne a meno negli eccellenti settori della profumeria e della cosmesi, eppure gli italiani ignorano che l’ingrediente principe dei profumi più venduti al mondo, che seducono uomini e donne con fragranze irresistibili, si trova soltanto nel nostro Paese, più precisamente in una piccola porzione di terra, di appena 120 km, lungo la costa jonica della provincia di Reggio Calabria, un tempo culla della Magna Grecia, dove un particolare microclima ha reso possibile la nascita e la produzione di un agrume dalle proprietà straordinarie, un incrocio tra limone ed arancio, il bergamotto.
Chiamato anche “oro verde di Calabria”, il bergamotto si rifiuta di attecchire in altre parti del mondo e resta legato alla sua terra, tanto arida quanto generosa.
L’origine di questo agrume è ancora oggi misteriosa. Per secoli i reggini hanno cercato di dimostrare che esso non fosse un frutto autoctono, anziché essere orgogliosi di questa loro peculiarità. Hanno così trovato facile diffusione nel corso dei secoli diverse leggende, alcune delle quali facevano provenire il bergamotto dalle Canarie, importato da Cristoforo Colombo, o persino dalla lontana Cina. Altre deducevano dalla radice del nome la provenienza dell’agrume dalla città di Bergamo, o dalla cittadina spagnola di Berga, situata vicino Barcellona.
È a metà del Settecento che nascono a Reggio Calabria le prime piantagioni di bergamotto. Nell’Ottocento si registra il boom della produzione. Oggi il settore non conosce crisi, anzi, negli ultimi anni è cresciuto con un incremento ulteriore delle esportazioni all’estero, soprattutto in Francia. Complice di questo successo la sperimentazione del bergamotto anche nell’industria alimentare nonché in quella farmaceutica, settori in cui i calabresi quindi dovrebbero investire per favorire l’uscita da una crisi economica che in quei territori si è innestata su una crisi tragicamente perenne. Recenti studi hanno messo in evidenza, infatti, le proprietà benefiche del bergamotto, ricco di polifenoli, sostanze antiossidanti, nonché di principi attivi che riducono il colesterolo.
“Siamo in un periodo di stupefacente espansione economica”, dichiara Fortunato Sculli, giovane produttore che vende duemila quintali l’anno di bergamotti soprattutto ai marchi Dior e Chanel, il quale ritiene che abbia giovato al settore la decisione presa da tutti i produttori di fissare un prezzo annuale stabile nella vendita del bergamotto: 58 euro al quintale per il convenzionale e 60 euro per il prodotto biologico. “L’azienda Dior ci ha dimostrato di avere apprezzato molto questa politica, perché ci rende affidabili e, di conseguenza, consente all’azienda stessa di poter pianificare la produzione e la vendita dei suoi profumi. La maison parigina afferma che i calabresi rispettano la parola data”, spiega Sculli.
Intensi più che mai sono, in effetti, i rapporti tra i calabresi ed i profumieri francesi, spesso in visita nella provincia reggina, per osservare da vicino il prezioso oro verde, passeggiando nelle piantagioni e godendo di quel clima, impossibile da replicare, che consente al bergamotto di prosperare. François Demachy, parfumeur créateur di Dior, si reca periodicamente nella provincia reggina per incontrare i produttori e selezionare di persona i frutti che saranno alla base delle sue lussuose creazioni.
Ad acquistare ingenti quantità di olio essenziale di questo agrume prezioso è anche un altro marchio di fama mondiale: la Coca-Cola. E potrebbe essere proprio il bergamotto lo storico ingrediente segreto della bevanda più amata, consumata e imitata al mondo. Ma neanche ai produttori di bergamotto è dato saperlo. La Coca-Cola, uno dei più grossi acquirenti, compra ma non spiega ai produttori calabresi che uso faccia del loro olio essenziale.
I reggini hanno avuto la fortuna di possedere in via esclusiva questo agrume molto delicato e molto difficile da coltivare, sono diventati esperti nel produrlo e nell’estrarne la preziosa essenza, ingrediente fondamentale di qualsiasi profumo, nel commercializzare tale olio essenziale e nel cederlo al mondo, ma essi non sono mai arrivati alla conclusione del ciclo produttivo attraverso la creazione di un’industria profumiera, che sarebbe stata di sicuro l’operazione più redditizia. I calabresi hanno preferito vendere l’essenza ai francesi, i quali si sono affermati nel mondo come esperti profumieri.
Le cause per cui non si passò mai all’ultimo stadio del ciclo produttivo sono molteplici e vanno ricercate soprattutto nell’ambiente generale reggino dal punto di vista pubblico. Nell’Ottocento mancavano banche di investimento che avrebbero potuto aiutare gli imprenditori concedendo loro un anticipo economico. L’unica possibilità era dunque l’esportazione, cioè la vendita all’estero di un prodotto esclusivo, che portò in effetti facili guadagni agli imprenditori. Tuttavia, questi ultimi non rischiarono, in un certo modo preferirono accontentarsi. O non ebbero abbastanza fiducia nelle loro possibilità.
Il completamento del ciclo produttivo non ci fu allora e non c’è stato mai. I calabresi si occupano ancora di come cedere l’essenza agli altri e non di come sfruttarla per loro stessi. Con la generosità che li caratterizza e che negli affari può costituire un deterrente, i reggini preferiscono che siano altri a guadagnare di più dal loro tesoro.