Il trionfo dei conservatori in Gran Bretagna non certifica soltanto il tracollo dei progressisti, i quali pure all’estero incassano i consensi dei quattro gatti che dimorano nelle zone ricche delle metropoli e patiscono il disprezzo delle moltitudini che abitano nelle periferie. Questa è la vittoria di Boris Johnson, colui che ha puntato sulla Brexit, garantendo agli inglesi il divorzio dall’UE entro gennaio, e che non è indietreggiato neanche di un millimetro, dimostrando carattere e fermezza, qualità indispensabili nella vita e soprattutto in politica. Oggi più che mai.

Boris non ha ripensamenti. Non tentenna. Non si demoralizza quando si trova tutti contro, anzi si carica ancora di più. Non ha timore di risultare impopolare. E per questo piace. Nonostante sia osteggiato e deriso per la capigliatura paglierina, i modi considerati rozzi e l’indomabile indole politicamente scorretta, Boris è una persona estremamente colta, reputa fondamentale lo studio della lingua latina e ritiene che la conoscenza della storia dell’Impero Romano sia indispensabile per comprendere l’Europa di oggi.

Come succede ad ogni politico di destra, la stampa cerca di consegnarne all’opinione pubblica l’immagine di un soggetto maschilista, donnaiolo, ignorante, rude, ossessionato dal potere. Tuttavia, Boris incarna nell’immaginario degli elettori quell’ideale di “uomo forte” di cui sentono il bisogno pure gli italiani. Un individuo, maschio o femmina che sia, capace di andare contro corrente, di mantenere una certa coerenza, di avventurarsi in operazioni da altri giudicate impossibili, come l’abbandono della Unione Europea, di concepire e realizzare cambiamenti storici.

In una società sempre più confusa che ha smarrito i capisaldi tradizionali, dalla religione alla famiglia, emerge il desiderio di un saldo punto di riferimento politico. È un sentire che avvicina ed unisce i popoli europei, frammentati e insoddisfatti di un progetto di integrazione che ha mostrato i suoi limiti e le sue contraddizioni e che ora inizia a disintegrarsi, a perdere pezzi. Il recesso inglese apre un varco e spiana la strada a quanti saranno tentati di tirarsi fuori, recuperando quella parte di sovranità ceduta ad un organismo sovranazionale che non è mai evoluto e forse mai evolverà verso una federazione di Stati, permanendo tragicamente in una insopportabile situazione di incompiutezza. Soggetto politico che vorrebbe essere eppure non riesce ad essere, assumendo connotazioni deformanti e mostruose.

Condividiamo la moneta, ma è assente uno spirito unico europeo, anzi sembra che ci stiamo sempre di più sulle balle in un’Europa dominata dai burocrati ed avvertita come un vincolo fastidioso nonché un fardello. Soltanto un uomo di polso come Johnson può traghettare il suo Paese verso una nuova era, staccandolo dal continente e mandandolo in alto mare da solo al fine di tentare una rinascita economica basata sul bilateralismo, escogitata in patria e non dettata da Bruxelles.

È l’anelito al cambiamento che avvertono gli europei, sia sotto il cielo plumbeo di Londra che più giù. Non è stata forse questa aspirazione al sovvertimento a segnare la clamorosa ascesa dei grillini in Italia al suono del “vaffanculo”? Un’aspettativa più fottuta che delusa. Poiché i cinquestelle sono privi di temperamento ed acuiscono nell’elettore quel senso di confusione e smarrimento che già lo perseguita nell’attuale fase storica.

I pentastellati hanno fatto tutto il contrario di quello che hanno promesso e dichiarato. E si smentiscono sempre più sfacciatamente. Luigi Di Maio, impropriamente definito “leader” del Movimento, appare agli occhi della gente alla stregua di un quaquaraquà: tuona “mai con il partito di Bibbiano” e il giorno dopo si allea con il Pd. Tanto fumo e poco arrosto. Ecco perché il M5s precipita nei sondaggi.

Il motivo è sempre quello: gli abitanti della penisola reclamano non un ducetto, come hanno narrato i giornali, bensì un signore o una signora dalla personalità ferma e con le idee chiare, in grado di intraprendere un percorso e seguirlo. Come ha fatto Boris Johnson, il quale ieri con il suo consueto pragmatismo ha affermato dopo la vittoria: “Facciamo la Brexit, ma prima facciamo colazione”. Del resto, si ragiona meglio con lo stomaco pieno. Lunga vita al primo ministro.

Articolo pubblicato su Libero il 14 dicembre del 2019

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