Come si chiama quel demone che dimora nel corpo di Benno Neumair, rinchiuso ora in una gelida e tetra cella del carcere di Bolzano? Gli scienziati lo chiamano “malattia mentale”, qualcosa che avrebbe sempre afflitto il giovane, il quale attraverso l’abuso di anabolizzanti – disperato tentativo di occultare sotto una corteccia di muscoli la propria labilità – avrebbe aggravato la sua schizofrenia. Altri, invece, sostengono che sia Belzebù in persona, se così si può dire, ad essersi impossessato delle membra e dell’animo del ragazzo, all’apparenza bello, felice, sereno, ma dentro marcio, instabile, rabbioso. Anzi di più, carico di odio. Persone vicine alla famiglia raccontano che, quando Benno aveva circa otto anni, babbo e mamma lo condussero da una sorta di stregone affinché questi lo benedisse, o forse esorcizzasse. I familiari, insomma, in qualche modo ritenevano che albergassero in lui “spiriti cattivi” (sic!).
Benno Neumair viveva fratturato: da un lato, c’era il Benno che egli avrebbe voluto essere, ossia quello forte, performante, gioioso, indipendente; dall’altro, il Benno reale, ovvero quello terribilmente fragile, inefficace, depresso, del tutto dipendente dai genitori ai quali, pur essendo adulto e vaccinato, chiese di recente, cioè pochi mesi addietro, se per quella notte avesse potuto dormire con loro, magari nel mezzo, come fosse un neonato. Da questa richiesta, inoltrata via sms, la madre restò molto turbata, tanto da narrarlo in una lettera ad una cara amica, senza omettere di confessare quel sentimento vergognoso quanto comprensibile che ella covava nel cuore e che condivideva con il marito: la paura nei confronti della creatura che pure aveva dato alla luce, che era carne della sua carne, sangue del suo sangue, parte di sé estratta dalle sue medesime viscere.
Ma attenzione. Facile dare la colpa ad una mente che fa cilecca o al diavolo. Il cervello di Benno pare funzionare alla perfezione e Benno risulta essere lucido, freddo, spietato calcolatore. E le mani che hanno ucciso e fatto sparire i cadaveri sono quelle del trentenne e non quelle di Satana.
Questo duplice omicidio sembra essere organizzato nel dettaglio, pianificato da giorni, settimane, forse – chi lo sa? – persino mesi. Eppure Benno nega. Recita, come ha fatto fin dal primo istante, anche davanti alle telecamere, quando provava ad insinuare in chiunque il sospetto che Peter e Laura si fossero suicidati, in quanto sotto stress e stufi di campare. Fornisce una versione dei fatti che poco convince gli inquirenti. Il reo confesso, nei verbali dei due interrogatori desecretati la scorsa settimana dalla procura di Bolzano, dichiara di avere ammazzato il padre, la sera del 4 gennaio, in un gesto d’impeto, quindi che non si tratta di un’azione premeditata. “Papà mi rinfacciava che non valessi niente. Era uscito fuori il discorso delle mie responsabilità, e mia sorella… Mi sono sentito così alle strette, senza una via d’uscita”. E poi: “Mio padre insisteva, mi rimproverava che dovevo aiutare di più a casa. Sono andato in camera mia per non dovere più discutere, come spesso accadeva”. E infine: “L’ho zittito, ho preso dalla bacinella di plastica dove ho gli attrezzi la prima corda di arrampicata che ho trovato e l’ho strozzato”. Queste le parole di Benno.
Cosa non è convincente di questa impalcatura? In particolare un elemento. In casa Neumair vigeva una regola ferrea: nessuno doveva mai avviare una discussione con Benno quando si trovava da solo con lui. Sappiamo che Laura Perselli faceva questa raccomandazione alla figlia. Sappiamo altresì che Peter e Laura temevano il figlio, tanto da sigillarsi a chiave in camera da letto. Insomma, i coniugi Neumair reputavano Benno capace di tutto, persino di assassinarli nel sonno. Ecco la ragione per cui Peter, solo in casa con il figlio, non stava affatto litigando con Benno il pomeriggio del 4 gennaio. Non lo avrebbe fatto mai e poi mai.
In quella abitazione regnava il silenzio. E Benno, il quale aveva fin dal mattino preso appuntamento per quella sera con Martina, una delle ragazza che frequentava ultimamente, dava per scontato che in serata avrebbe goduto della disponibilità dell’automobile, bene che i genitori gli vietavano di adoperare. Quindi il giovane era già sicuro che né padre né madre gli avrebbero impedito di utilizzare la macchina, poiché né padre né madre sarebbero stati in vita. Tra i propositi del nuovo anno Benno, già a dicembre, aveva inserito al primo posto: “fare scomparire i miei genitori”. Quando? Il 4 gennaio.
E dopo il papà è giunto il momento di strangolare la mamma. Attesa probabilmente per ore, nascosto nell’ingresso, al buio, in silenzio, con lo sguardo feroce, pronto a balzarle addosso come una bestia con eccitazione e frenesia, come ella fosse una preda da cacciare e non la donna che lo ha messo al mondo, allattato, cullato, protetto, in quell’appartamento invaso già dal fiato umido della morte.