In una villetta piena di fiocchi rosa di benvenuto appesi ai balconi, la sera di domenica 20 gennaio una quarantaduenne ha scaraventato due volte per terra la figlioletta. È successo a Lisiera di Bolzano Vicentino. Il marito era in un’altra stanza. La piccola è spirata poco dopo la mezzanotte presso l’ospedale San Bartolo di Vicenza dove era nata quattro giorni prima. La donna ha riferito ai giudici di essersi scagliata contro la neonata poiché provata dalla mancanza di riposo.
Il 14 novembre, a Catania, un bambino di tre mesi è stato trasportato al pronto soccorso e ricoverato presso l’unità di rianimazione pediatrica a causa di un gravissimo trauma cranico. L’infante è deceduto l’indomani. La madre, ventiseienne, ha raccontato che il primogenito con una spinta gli era sfuggito accidentalmente dalle braccia finendo sul pavimento, eppure la ricostruzione non ha convinto gli inquirenti, che hanno poi appurato che la vittima è stata lanciata con violenza dalla madre.
Il 18 settembre scorso la trentatreenne Alice Sebeta, cittadina tedesca detenuta nel carcere di Rebibbia dal 28 agosto per traffico internazionale di droga, ha ucciso i suoi due bambini, Faith e Divine, rispettivamente di 6 e 18 mesi gettandoli dalla tromba delle scale. A marzo è stata scarcerata poiché ritenuta “incapace di intendere e di volere”. E sempre a settembre scorso, precisamente il 14, a Scarperia, in provincia di Firenze, Niccolò Patriarchi, 24 anni, ha ucciso il figlio di un anno, Michele, ferendolo con un coltello da cucina. L’uomo ha cercato inoltre di buttare giù dal terrazzo la figlia di 7 anni.
Il 27 gennaio scorso, a Cardito, in provincia di Napoli, il venditore ambulante abusivo Tony Essoubti Brade, 25enne, ha massacrato di botte Giuseppe Dorice, 7 anni, e ridotto in fin di vita Noemi, 8 anni, figli della sua compagna, Valentina Casa, 30, la quale ha ripulito la scena del crimine e il sangue dai corpicini, al fine di proteggere il mostro che aveva appena macellato la sua creatura dopo una escalation di torture che i bimbi subivano da diversi mesi, culminata nel tragico assassinio del maschietto, il quale non è stato soccorso dalla mamma, bensì lasciato agonizzante sul divano per ore.
Nessuno aveva denunciato queste violenze inaudite, neanche le maestre né la preside della scuola frequentata da Giuseppe e Noemi, nonostante questi ultimi si presentassero ogni dì in classe ora con il viso tumefatto, ora con ecchimosi sparse, addirittura con un pezzetto di orecchio mancante. È stata la sorellina a testimoniare le terribili aggressioni patite nonché il modo in cui Giuseppe è stato trucidato. “Papà Tony gli ha dato la mazza della scopa dietro la schiena. Ha picchiato Giuseppe tanto tanto, l’ha preso in braccio e poi l’ha tirato contro il muro. E quando era a terra gli ha sbattuto la testa contro il muro. Poi ha preso me, mi ha portato nel bagno, mi ha messo la testa sotto il rubinetto. A volte ci metteva con la testa nel cesso. Lui ci picchiava sempre. E io lo dicevo alle maestre ma loro non chiamavano i carabinieri”, ha spiegato Noemi consegnandoci la fotografia degradante di un’infanzia completamente abbandonata, inerme, sola. La mamma ama più quella bestia dei suoi bimbi. Quindi non si ribella, non si oppone, non denuncia. Resta in silenzio, si gira dall’altra parte, diventa complice del carnefice fino ad agevolarlo, fino a tutelarlo. Fa di tutto pur di non perdere l’amore di un uomo incapace di amare.
Era animata dallo stesso desiderio di compiacere il nuovo compagno Gaia Russo, 22 anni, mamma di Leonardo Russo, 20 mesi, seviziato e ammazzato da Nicholas Musi, 23 anni. I due sono entrambi accusati di omicidio volontario pluriaggravato e si trovano uno in cella di isolamento nel carcere di Novara e l’altra ai domiciliari poiché in stato di gravidanza. Quando Leonardo giovedì scorso è stato condotto presso l’ospedale Maggiore di Novara era già in fin di vita. Aveva il fegato spappolato, numerose fratture (anche al bacino), traumi e lesioni in varie parti del corpo (genitali inclusi), condizioni incompatibili con il racconto fatto dalla ragazza, la quale sosteneva che il pargoletto fosse caduto dal lettino.
Lo scorso aprile Leo era già stato al pronto soccorso. “È stato morso da un cane”, aveva riferito ai medici Gaia. Il referto non confermava questa versione, eppure Leonardo è rimasto nelle mani dei suoi assassini, che lo hanno finito nel giro di qualche settimana e che ora non versano neanche una lacrima, non tradiscono alcun tipo di emozione. Fa impressione vedere Gaia e Leonardo nelle immagini che la fanciulla condivideva sul suo profilo Facebook: lei sfoggia sempre un sorriso smagliante, il bimbo invece ha un’espressione infelice e spaurita.
Questi soggetti sopprimono infanti poiché piangono, fanno rumore, non consentono loro di riposare. Come se un bambino fosse un pupazzo e dovesse comportarsi da oggetto inanimato, senza bisogni e sentimenti. Una cosa da mettere via e riprendere quando se ne ha voglia, magari per scattare due selfie da caricare sui social network, dove ognuno finge di essere l’esatto opposto di ciò che è: una madre amorevole, un patrigno dolce e premuroso, un individuo felice, un cittadino perbene, una persona rispettabile.
Si lamentava troppo anche Mehmed, 2 anni e 5 mesi, e per questo è stato massacrato di botte nella notte tra martedì e mercoledì nel quartiere San Siro, a Milano. A compiere l’orrendo delitto il suo babbo Aljica Hrustic, 25 anni, rom di origine croata nato a Firenze. Mehmed non poteva smettere di piangere poiché i suoi piedi erano completamente ustionati. Il padre si era trastullato bruciandoglieli, forse con un accendino. E la sua mamma, Silvjia Zahirovic, 23 anni, 4 figli e un quinto in arrivo, glieli aveva fasciati, invece di chiamare i soccorsi. In quell’alloggio occupato abusivamente si viveva nel terrore. Le torture erano quotidiane. La brutalità esplodeva senza un perché. A qualsiasi ora del giorno e della notte.
Pure Gabriel Feroleto, 28 mesi, piangeva il pomeriggio in cui, in provincia di Frosinone, è stato strangolato da colei che lo ha messo al mondo. Era il 17 aprile scorso, Donatella Di Bona, 28 anni, si era appartata con suo marito, Nicola Feroleto, 48, per consumare un rapporto sessuale in macchina, alla presenza del bimbo, il quale – a detta della signora – continuava a disturbare la coppia mediante il pianto. Lo hanno prima schiaffeggiato, poi abbandonato fuori dall’auto, infine soffocato. Insomma, i due criminali pretendevano di tranquillizzare il piccolino maltrattandolo.
Sembra un bollettino di guerra questa lista di esistenze spezzate prima ancora di sbocciare. Ci dicono che non facciamo abbastanza figli, ma il problema è un altro: non siamo capaci di prenderci cura nemmeno di quelli che abbiamo.
Articolo pubblicato su Libero il 27 maggio del 2019