Si discute in queste ore se il Parlamento, a causa dell’esito referendario, sia attualmente fuori legge, ovvero incostituzionale. Sul piano giuridico, per il principio di irretroattività della legge, le modifiche costituzionali sulla composizione delle Camere non incidono sulla legittimità dell’attuale Parlamento, che si è formato in base alla normativa vigente al momento delle elezioni del 4 marzo 2018. Tali modifiche troveranno attuazione a partire dalla prossima legislatura, ossia dal 2022.

Discorso diverso va fatto sul piano politico. Le forze di maggioranza hanno sostenuto che la riduzione del numero dei parlamentari fosse necessaria, anzi indispensabile, al fine di assicurare:

  • il buon funzionamento di Camera e Senato,
  • la moralizzazione della politica,
  • il contenimento della spesa pubblica.

In coerenza con tale impostazione Pd e M5s dovrebbero favorire l’indizione nel più breve tempo possibile di nuove elezioni allo scopo di rinnovare il Parlamento nella composizione prevista dalla Costituzione vigente, da loro fortemente sostenuta. Non avrebbe senso logico proseguire la legislatura con un Parlamento che essi stessi ritengono inefficiente e pletorico.

A ciò si aggiunge un elemento di estremo rilievo, ossia la prossima elezione del Presidente della Repubblica, atto che va al di là dell’orizzonte della singola legislatura e che investe proprio il garante della Costituzione, cioè il Capo dello Stato. Pertanto, codesto atto non dovrebbe essere compiuto da un Parlamento la cui composizione numerica non è più rispondente alla Costituzione.

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