La sindaca di Torino Chiara Appendino è stata condannata ieri a sei mesi di carcere nell’ambito del processo Ream. L’accusa è di abuso d’ufficio e falso in atto pubblico. Le è andata tutto sommato bene se consideriamo che il 6 febbraio scorso i procuratori chiesero per la sindaca torinese un anno e due mesi. Secondo la morale grillina, ella avrebbe dovuto dimettersi allorché è stata indagata, eppure, persino quando è stata rinviata a giudizio, non si è mossa di un millimetro. Anche adesso che è intervenuta una condanna, Appendino resta al suo posto, limitandosi ad autosospendersi dal M5s. “Porterò a termine il mio mandato da sindaca”, ha dichiarato Chiara. Il giustizialista (con gli altri) Beppe Grillo ha espresso il suo sostegno alla politica con un “ti voglio bene” pubblicato sui social network.
Ricordiamo che Appendino in questi anni è stata sotto indagine per omicidio colposo, disastro, lesioni, e non soltanto per abuso d’ufficio e falso. Eppure i pentastellati non urlavano con intransigenza che “chi è indagato si deve dimettere senza ma e senza se”?
I grillini hanno questa doppia morale: sono inflessibili con gli avversari e clementi con loro stessi. Nel maggio del 2019 Giuseppe Conte e il M5s pretesero le dimissioni del leghista Armando Siri, allora sottosegretario ai Trasporti nel governo gialloverde, poiché indagato per corruzione: si diceva avesse intascato 30 mila euro (non è mai stato rinviato a giudizio). Siri chiese clemenza, ossia la possibilità di essere sentito dai magistrati prima di essere obbligato alle dimissioni. Conte rifiutò categoricamente la proposta affermando che “le dimissioni o si danno o non si danno. Dimissioni future che vengono ricollegate a iniziative giurisdizionali non hanno senso”.
Adesso i cinquestelle si mostrano solidali nei confronti della sindaca condannata. Il motivo è chiaro: essi sono onesti. Gli altri no.