Attoniti lo avevamo osservato in diretta televisiva allorché, all’indomani delle elezioni del 4 marzo 2018, aveva annunciato che si sarebbe dimesso dal ruolo di segretario del Pd, riconoscendo, con un’umiltà che non ci appariva confacente al personaggio, la sconfitta della sua compagine. “Abbiamo detto in campagna elettorale no ad un governo con gli estremisti e degli estremisti. Non abbiamo cambiato idea. I cittadini ci hanno chiesto di stare all’opposizione e lì staremo. Il Pd è nato contro i caminetti e non diventerà mai la stampella di forze antisistema”, aveva dichiarato fiero e, nello stesso tempo, sommesso come un cane bastonato l’ex premier Matteo Renzi, aggiungendo “farò il senatore semplice”. Ma chi, tu, “semplice”? Ci sembrava la caduta di un leader. E soltanto in quel preciso istante egli, con le ossa fratturate (o meglio rotte), cominciava ad esserci addirittura simpatico. Vabbè, dai, non esageriamo, a starci meno sulle balle, questo sì. Del resto, quanti hanno il coraggio di ammettere di essere stati stesi al suolo, di essere fuori dai giochi, messi all’angolo, per farla breve, fottuti? Uno come Silvio Berlusconi, ad esempio, proprio non ce la fa. Qualcuno tuttavia non ci cascò e si chiese quale diavoleria stesse architettando il fiorentino. Ci risultava ridimensionato, come chi impara la lezione, e persino defunto, in realtà Matteo preparava il suo ritorno, aspettando fiducioso il momento opportuno per riprendersi la scena come una vera diva, per risorgere dalle sue ceneri come l’Araba Fenice. Non che non ci abbia provato a spendersi in altri campi. Proprio come Alessandro Di Battista ha tentato di intraprendere il mestiere di falegname (anche questo con scarsi risultati), pure Renzi si è messo alla prova altrove, facendo il conduttore tv: un misto tra l’irraggiungibile Alberto Angela ed una sfigata nonché ammorbante guida turistica dei poveri. La politica però ha questo difetto qui: una volta che te ne occupi poggiando le terga sullo scranno color porpora proprio non ti rassegni a lasciarla. L’uomo è predisposto ad abituarsi a tutto meno che alla perdita del potere. Basti pensare a Mario Monti, premier per caso (nonché per sfida e per sfiga, ovviamente nostra) che poi fonda un partito che hanno votato soltanto lui ed il suo parentado più stretto. O a Giuseppe Conte, che nel suo prolisso discorso al Senato ha rassegnato le dimissioni e contemporaneamente illustrato il suo programma politico. E adesso torna al suo posto, ancora caldo. Renzi, invece, se ne è stato buono buono, quatto quatto, fingendo che non gliene fregasse un bel niente di essere retrocesso. Invece, il suo orgoglio ribolliva. Matteo, che ha inaugurato un nuovo spregiudicato trasformismo, ha colto la palla al balzo con una lestezza da centometrista, tale da spiazzare chiunque, persino Salvini, il quale mai avrebbe immaginato che il Pd si sarebbe imparentato con il M5s né che quest’ultimo avrebbe accettato di buon grado la proposta di matrimonio. C’è un solo uomo dietro questa macchinosa operazione ed è il “senatore semplice” quanto complicato Matteo Renzi. Egli ora – e per questo meriterebbe l’applauso, anzi la standing ovation – si guarda bene dal prendere parte al governicchio che ha creato in laboratorio, poiché sa bene che si tratta di una vera porcheria, che nel migliore dei casi segnerà la rovina dei cinquestelle e pure del partito democratico. E che non sia proprio questo ciò a cui punta il machiavellico Renzi: demolire tutto per ricostruire? Se non fosse questo il suo obiettivo dovremmo credere che l’ex segretario sia un perfetto idiota che manda i suoi compagni al patibolo. E li sprona, e li esorta, e li spinge, e li accompagna con un sorriso affabile e modi melliflui. Ed essi si convincono, in quanto è allettante l’idea di tornare al governo né hanno ormai altro modo per farvi ritorno se non mediante codeste nozze infauste col nemico. L’ex primo ministro, invece, recitando la parte del salvatore che non chiede nulla per se stesso, accontentandosi solo di essere stato utile per il bene del Paese, resta dietro le quinte. “No, grazie, io non voglio fare parte del consiglio. Continuerò a fare il senatore semplice”, ripete. Intanto pensa: “Andate voi al macello, scemi”. Lo scolorito Zingaretti, che sembra più scemo di quanto in realtà sia, pare avere intuito questo giochino sporco e non vuole fare il vicepremier, e non per modestia. Conte, ex e prossimo capo dell’esecutivo, cerca di convincerlo: “Dai, vieni anche tu, non puoi mancare”. Sembra che stiano organizzando un party in spiaggia più che un governo. La lista dei ministri è già redatta, eppure non si sa chi sarà il presidente, primus inter pares che in teoria – e solo in teoria oramai – è costituzionalmente colui a cui spetta l’onere o l’onore di indicare i primi.
L’unico risultato positivo di questa bizzarra macchinazione ancora in via di realizzazione tuttavia è già visibile: l’ex sindaco di Firenze si è ringalluzzito. Sui social network come nella vita reale. “Ahahaha, ho fottuto quel pistola di Salvini”, ritiene.
Beh, Renzi, del resto, era quello che credeva di avere mandato in porto la riforma costituzionale ancora prima del referendum che lo azzoppò. Irrimediabilmente. Come tutti i furbi Matteo ha un vizio: sottovaluta pericoli ed avversari.
Articolo pubblicato su Libero Del 28 agosto 2019