Procede a fari spenti il due volte premier in due anni Giuseppe Conte. L’obiettivo è durare fino al 2022, blindandosi a Palazzo Chigi di semestre in semestre, proclamando stato di emergenza dopo stato di emergenza, sebbene non ce ne siano i presupposti.

Voleva piacere a tutti e ha finito con il non piacere a nessuno. Né a destra né a sinistra. Gli italiani, in particolare, non lo sopportano più. In questi mesi i giornali ci hanno somministrato sondaggi improbabili in cui il presidente del Consiglio risultava essere il politico più amato con un consenso addirittura superiore al 60%.

L’ultima indagine, realizzata da Termometro Politico, fornisce percentuali del tutto ribaltate rispetto a quelle abituali: il 59% degli abitanti del Belpaese non nutre più fiducia nei confronti del primo ministro e lo ritiene incapace di governare, se non persino nocivo. A lui infatti viene imputato il crollo del Pil: il governo non è stato in grado di gestire la situazione.

Insomma, ne abbiamo abbastanza delle vane promesse di Giuseppi, delle sue conferenze stampa accorate, convocate di notte, delle sue dichiarazioni di intenti che non si tramutano mai in azioni, bensì restano lettera morta o fiato disperso nell’etere. Si era presentato come l’avvocato del popolo caduto dal cielo ed ora il popolo vuole revocarlo, fargli causa, chiedergli i danni. In una parola, liberarsene.

Tuttavia, Conte tiene duro. Che sia chiaro: egli non ha la benché minima intenzione di mollare la poltrona. E non gli basta governare – sì, vabbè –, Giuseppe vuole esercitare poteri pieni, come ha fatto indisturbato in questi mesi, eludendo il più possibile le Camere ed estromettendo l’opposizione, sopra a tutti Matteo Salvini, passato dall’essere suo vicepremier nel governo gialloverde all’essere suo nemico giurato nell’agosto del 2019.

Eppure era proprio il foggiano a sottolineare nella prima intervista concessa in qualità di presidente del Consiglio nel luglio del 2018 (al Fatto Quotidiano) che “un’opposizione forte aiuta i governi a sbagliare meno e li sprona a fare meglio”. Conte, il quale dichiarava che il suo modello di premier fosse il democristiano “Aldo Moro e – senza offesa – nessuno tra i viventi”, deve avere cambiato idea ultimamente dal momento che ha fatto fuori l’opposizione, con la quale neppure si confronta, in compenso però si intrattiene per tre ore con il privato cittadino Davide Casaleggio, presidente dell’Associazione Rousseau da cui dipende il M5s.

Non che Giuseppi non abbia lanciato inviti al centro-destra. Lo fa, soltanto che – piccolo particolare – non fissa mai una data oppure pone condizioni inaccettabili, come quella di recarsi a colloquio con lui singolarmente: Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega sarebbero inclini a discettare con Conte, però questi pretende di vederli scissi, un rappresentante per volta. Cosa che alla coalizione non sta bene.

In fondo, queste non sono che alcune delle contraddizioni in cui è inciampato il professore. Sempre nel 2018 aveva affermato: “Il mio cuore batteva a sinistra. Votai l’Ulivo di Prodi, una volta credo i centristi, mai Forza Italia né Alleanza Nazionale. E il Pd fino al 2013. Ma poi, deluso, mi sono ravveduto. Nel 2018 ho votato M5s”. Insomma, Conte sul partito democratico si era “ravveduto”, salvo poi, a distanza di un anno esatto da queste asserzioni, allearsi proprio con il Pd. Conte: un nome una garanzia.

Nel 2018 uno dei traguardi fissati dal suo esecutivo era “la riduzione delle partenze e dunque dei morti in mare”, poiché non avremmo potuto continuare ad aprire le braccia a tutti, adesso è l’accoglienza di chiunque intenda giungere illegalmente in Italia.

Nonostante da gennaio scorso siamo in emergenza sanitaria, sulle nostre coste negli ultimi 6 mesi sono sbarcati 9 mila migranti (tra cui sempre più di frequente individui positivi al coronavirus), il cui secondo Paese di provenienza è quello stesso Bangladesh con il quale abbiamo sospeso i voli per ragioni sanitarie.

Il premier, il quale due anni fa si mostrava stupito “dall’eterno trasformismo e camaleontismo italiano” tanto in voga negli apparati, giravolta dopo giravolta rischia di scivolare.

Prima o dopo.

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