Luigi Di Maio, dopo gli insuccessi elettorali collezionati dal 33% conseguito alle politiche del 4 marzo 2018, sembra essersi oggi ringalluzzito per l’esito referendario che ha visto il trionfo del Sì. Eppure se confrontiamo tale risultato a quelli ottenuti dal Movimento nelle varie regioni che sono andate al voto, allora c’è ben poco da festeggiare. Le stelle sono decadute, Più giù non possono andare, eppure potrebbero ancora stupirci (in negativo). I pentastellati sono gli sconfitti degli sconfitti e per andare avanti tocca loro munirsi della stampella Pd.

Tuttavia, Gigi sorride. Gongola. Come se avesse fatto tutto lui. La riforma costituzionale relativa al taglio di 345 seggi tra Camera e Senato è nata sotto l’impulso dei cinquestelle, eppure – elemento da non trascurare – è stata sostenuta da quasi tutti i partiti politici, senza dubbio da quelli più rilevanti: Pd, Lega, Fratelli d’Italia. Dunque, presentare la prevalenza dei Sì come un colpo messo a segno dal M5s è ridicolo, miope ed errato. Il Movimento non gode dell’appoggio del 68% degli italiani, i quali si sono espressi a favore della riforma allo scopo di tagliare le poltrone ad una classe politica di incompetenti di cui i grillini – oramai parte integrante della casta – sono emblema.

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