Esiste una connessione profonda tra credibilità dello Stato e azione economica. L’economista Gunner Myrdal ha usato l’espressione “soft State”, ossia “Stato molle”, al fine di indicare proprio la debolezza dell’azione statale come causa della paralisi dell’attività economica nei Paesi sottosviluppati. Senza dubbio mai le nostre istituzioni e la loro azione sono state così anemiche come in questa fase storica: il governo non è capace di porre limiti all’immigrazione illegale né di controllare i migranti infetti i quali scappano dai centri di accoglienza straordinari per andarsene a zonzo e diffondere il coronavirus; l’esecutivo fa la voce grossa, o finge di farla in Europa, eppure il suo agire non risulta incisivo e determinante; gli imprenditori sono alla canna del gas e i ministri li invitano a cambiare mestiere.

Ma cosa accade quando lo Stato è frollo? Molti studiosi hanno collegato alla fragilità dello Stato anche la diffusa collusione tra burocrati e settori forti dell’economia. Se lo Stato è malfermo e inefficiente, manca una pubblica amministrazione coesa e responsabile, i dipendenti diventano incompetenti in quanto vengono reclutati senza criterio o con criteri clientelari, vengono pagati in modo sproporzionato rispetto alle loro prestazioni, sono inoltre inclini a disobbedire alla legge e alle direttive.

Queste sono alcune delle storture prodotte dal cosiddetto “soft State”, cioè dallo Stato molliccio, uno Stato disinteressato e indifferente, come la viceministra Laura Castelli; assente o presente nel modo peggiore, come il premier Giuseppe Conte che mostra il pugno di ferro con gli italiani e la manina morbida con i clandestini; e la cui azione è comunque inefficace e inadatta.

In una prospettiva che considera lo Stato come un padre che ha il compito di proteggere, dare sicurezza, educare e crescere i figli, cioè i cittadini, potremmo rapportare la teoria di Alan Ehrenberg circa il declino del ruolo del babbo nella società post-moderna al “declino del ruolo dello Stato” in una società con una economia in crisi.

Secondo Ehrenberg, è la debolezza del papà, non in grado di contraddire, punire, indicare la direzione e, dunque, non in grado di svolgere il ruolo genitoriale, poiché incapace di sopportare la sofferenza che comporta l’esercizio del potere, a determinare il malessere del figlio il quale perderebbe così un sicuro punto di riferimento oltre che un modello. Il giovane smarrirebbe il senso del limite e la sua frustrazione deriverebbe proprio dallo scontro quotidiano con una realtà che invece è finita, ovvero limitata, e che dunque non può consentirgli di fare tutto ciò che vorrebbe come egli è stato abituato a credere di poter fare. Il ragazzo si ripiega su se stesso, interessato soltanto al suo benessere psichico.

Il malessere della nostra società, in particolare quella meridionale, dipende proprio dal bisogno inappagato di disporre di certezze, di una classe politica forte che dimostri amore nei confronti della patria, di regole sicure, di confini certi, di garanzie.

Come uscire da questo cortocircuito? Gli apparati pubblici devono diventare più credibili attuando politiche che favoriscano la costruzione di un clima di fiducia, spingendo così gli attori economici ad agire, cioè a rischiare, dal momento che l’azione economica dell’uomo presuppone sempre un rischio in quanto investe sul futuro. Castelli fa l’opposto: uccide persino il timido barlume di speranza di risollevarsi!

Occorrono adesso più che mai politiche di breve periodo. Poiché gli impegni a lungo termine possono non risultare abbastanza credibili. Scriveva il docente di Sociologia dell’Università Luiss Antonio La Spina nel 2005: “Se sistematicamente gli impegni presi vengono ritirati, verrà meno la credibilità delle politiche pubbliche, e dunque la loro attitudine a fare da presupposto ai calcoli degli attori economici secondo l’intento ufficiale in esse dichiarato… Politiche adottate oggi che vengono, senza che siano sopravvenuti fatti nuovi e decisivi, revocate domani … non consentiranno alcun calcolo, ovvero favoriranno calcoli che non sono tipici dell’economia capitalistica, bensì di relazioni pre-moderne, particolaristiche, orientate alla ricerca di rendite”.

Ci serve uno Stato sodo e robusto, che non si realizza mediante la tanto decantata (da parte dei grillini) statalizzazione, come se il pubblico fosse garanzia di produttività e attivismo, bensì offrendo a chi investe o ha intenzione di farlo garanzie, rispetto, considerazione.

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