Sono migliaia nelle nostre città. Si recano sul posto di lavoro all’alba. Non sono richieste particolari competenze per svolgere le loro mansioni. Basta conoscere due o tre parole in italiano. Sono gli operai dell’elemosina, un nuovo proletariato giunto dall’Africa ed assunto, anzi arruolato, dalla mafia nigeriana che opera sia a livello transnazionale che sul suolo italiano, dove ha piantato i suoi artigli.

In molti dicono che essa sia solo un’invenzione, che non esista. Ho sentito anche qualche magistrato sostenerlo. In effetti, si affermava lo stesso riguardo a Cosa Nostra, prima che i collaboratori di giustizia ne svelassero ordinamento, regole, metodi, affari, capi.

La criminalità organizzata nigeriana esiste. Ed è sotto i nostri occhi. Ogni giorno. La vediamo quando andiamo al bar e troviamo ogni mattina sempre lo stesso ragazzo che ci tende la mano chiedendoci qualche spicciolo. La incrociamo all’angolo di ogni strada, davanti all’edicola, all’uscita del supermercato, sulla soglia del panificio, di fronte ad ogni esercizio commerciale. La incontriamo sui marciapiedi, dove vengono venduti alla luce del sole borse, cinture, profumi, occhiali da sole, cappelli, sciarpe, tutti contraffatti.

Ci imbattiamo in lei passeggiando sia di giorno che di sera in alcune zone della nostra città, o uscendo dai locali notturni, si avvicina a noi sorniona e ci offre sostanze stupefacenti. È ovunque. È così diffusa che non ci accorgiamo di lei. La nutriamo pensando di fare un’opera di bene. E lei diventa sempre più grassa e potente. Si ciba della nostra commiserazione, che è tanta.

“Esistono dati relativi ad indagini di organi di polizia nonché evidenze di carattere processuale, che dimostrano che la mafia nigeriana è ben radica in Italia”, spiega Carlo Biffani, direttore generale di Security Consulting Group (SCG) ed esperto di sicurezza, terrorismo ed antiterrorismo. Ciò che distingue questa criminalità organizzata da quelle nostrane è la mancanza di una cupola, ossia di un vertice. “Si tratta di un’organizzazione duttile che si occupa soprattutto di importazione e commercio di droghe, traffico di armi, prostituzione, business delle firme, importazione e vendita di merce contraffatta. I vari gruppi, apparentemente privi di collegamento organico, si spartiscono il territorio e si adattano a fare quello che più conviene. Non di rado essi vengono utilizzati anche dalla ‘ndrangheta e dalla camorra, che ai nigeriani subappaltano attività minori, o rischiose, magari quelle su strade”, continua Biffani.

Tra le attività che portano maggiori introiti c’è il racket dell’elemosina. “Un affare che muove centinaia di migliaia di euro al mese, milioni ogni anno”, dichiara l’esperto.

La miseria fa pena. Il cittadino non vede il pericolo. Ecco perché si tratta di un fenomeno difficile da contrastare. L’unico modo efficace per arginare lo sfruttamento degli operai dell’elemosina è, oltre alla non sottovalutazione del problema e dei rischi connessi ad esso, il controllo dell’immigrazione.

“È stata sbagliata la logica politica nella gestione dell’immigrazione. Le maglie larghe hanno consentito alla piccola, alla media e alla grande criminalità di infiltrarsi nel nostro sistema. E non dimentichiamo che l’afflusso di immigrati ha fruttato alle mafie miliardi di euro negli ultimi anni”, osserva l’esperto.

In Africa manca una cultura del lavoro e questo frena lo sviluppo. Ma nel crimine i nigeriani hanno rivelato una particolare efficienza, dando vita ad una vera e propria catena di montaggio capace di sfruttare al meglio le nostre politiche di accoglienza per traghettare in Europa, previo pagamento del biglietto di viaggio, uomini e donne, molte persino minorenni, da trasformare in schiavi e da inserire nei circuiti del crimine come manovalanza a costo zero. La mafia nigeriana lo sa: grazie al nostro buonismo si fanno affari d’oro.

“Le forze di polizia fanno tutto quello che possono, ma agiscono su mandato politico. È evidente che a monte non si vuole un contrasto deciso del fenomeno, perché minimizzato”, dice Biffani.

Ma come dobbiamo comportarci davanti a coloro che per strada ci tendono la mano? “Sarebbe meglio non dare denaro a queste persone, con la consapevolezza che quel soggetto darà tutto o gran parte della somma raccolta ad un’organizzazione che è tutt’altro che benefica”, consiglia l’esperto.

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