di Fabrizio Maria Barbuto

Di tutti i pensieri che possono animare la mente di una bimba di appena cinque anni, la gravidanza è senz’altro il più improbabile, ma non è stato così per Lina Medina Vásquez, passata ai posteri come: “madre più giovane della storia”.

Nata a Tricapo (Perù) il 27 settembre 1933, aveva solo 5 anni, 7 mesi e tre settimane quando diede alla luce un bimbo. Il suo piccolo ventre, nei mesi anteriori alla genesi, era apparso espandersi in maniera anomala, ma quelle rotondità erano state ricondotte all’ingrasso cui, i pargoletti dal forte appetito, sono soggetti. Quando il disagio si fece evidente, i genitori di Lina portarono la figlia in ospedale temendo che, quell’addome sporgente e sproporzionato, ospitasse una massa tumorale.

Fu proprio al nosocomio San Juan de Dios di Pisco che i medici constatarono lo stato interessante della giovanissima paziente, la quale partorì un mese e mezzo più tardi, il 14 maggio del 1939. L’evento, per via dell’esile conformazione fisica e dei fianchi stretti della puerpera, si svolse con parto cesareo sotto la stretta supervisione di tre medici: Gerardo Lozada Murillo, Alejandro Busalleu e Rolando Colareta. Questi solerti professionisti ebbero un ruolo così determinante nella sopravvivenza di Lina e del suo piccolo che, al nascituro, furono dati i loro nomi: Gerardo Alejandro venne al mondo di 2,7 kg, e il suo sostentamento fu garantito dal governo del Perù che creò una commissione per la sua cura e la tutela.

A tutt’oggi, le circostanze relative al concepimento del pargoletto risultano sconosciute: Medina non ha mai voluto condividere con chicchessia l’identità dell’uomo che abusò di lei, ma la paternità di Gerardo fu perfino attribuita al padre della gestante che, all’epoca dei fatti, venne arrestato per abuso di minore e rilasciato per insufficienza di prove. Il bimbo crebbe nella convinzione che sua madre biologica fosse invero sua sorella maggiore, e i dagherrotipi sbiaditi di questi due fanciulli dall’inconsistente stacco generazionale, effettivamente, basterebbero ad illudere che si tratti di due fratellini: il web brulica di tenerissime immagini di madre e figlio, l’uno accanto all’altra, intenti a scambiarsi tenerezze. A dieci anni, Gerardo fu messo al corrente della verità.

Il curioso accadimento – che sul finire degli anni ‘30 destò l’interesse mondiale – venne argomentato dal dottor Edmundo Escomel sulla rivista La Presse Médicale: a monte dell’inusitata gravidanza vi sarebbe la comparsa, in Medina, dei segni di uno sviluppo puberale prematuro (pubertà precoce o anticipata): le mammelle della bimba apparivano già sviluppate, e la sua maturazione ossea, allo stesso modo, sembrava aver precorso i tempi, determinando un ampliamento del bacino. Il luminare integrò la dissertazione con una controversa chiosa: a detta di Escomel, non è per omertà che Medina mentenne il riserbo circa l’identità del suo abusatore, bensì perché non ricordava le circostanze della violenza. La giovanissima età giustificherebbe una tale amnesia, come a significare che nella sventurata, il trauma, potrebbe essersi impresso a marchio di fuoco, ma non chi l’ha causato.

Nel 1972, all’età di 39 anni, la Vásquez ebbe un secondo figlio dal marito Raúl Jurado. Gerardo morì sette anni più tardi di mielofibrosi, ad appena 40 anni.

Oggi 86enne, Lina continua a ridare alle luce, nella nostalgia del ricordo, quel figlio di cui non ha mai scelto consapevolmente di essere madre, ma di amare sì. Quest’eterno “parto”, ad opera di una mente ingrigita dal tempo, non si accompagna più al primato di una precoce genitorialità, bensì a quello di un amore incommensurabile.

Fabrizio Maria Barbuto

Articolo pubblicato su Libero il 23 giugno del 2020

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