Nacque nell’agorà la politica e dopo millenni si è trasferita sui social network, le piazze virtuali, dove adesso i leader di partito si fronteggiano in uno scontro quotidiano per la conquista degli utenti, ossia degli elettori. Ognuno sfodera le sue armi migliori per aggiudicarsi “cuoricini”, commenti, condivisioni, seguaci. E i quattrini che vengono investiti nella permanente campagna elettorale virtuale non sono neppure pochi. Tra coloro che destinano maggiori risorse in questo genere di pubblicità figurano Matteo Salvini, Matteo Renzi, Carlo Calenda. Ma neppure il vanitoso Giuseppe Conte, il quale allorché era premier spendeva oltre centomila euro l’anno per lo stipendio di un esperto in materia, sottovaluta l’importanza di una efficace e astuta presenza sulle piattaforme social al fine di accrescere gradimento e consenso personali.

Il numero di follower è una sorta di pubblica attestazione di potere, o di influenza politica che, almeno in teoria, dovrebbe tradursi in voti. In pratica, invece, non è sempre detto e qualche volta può valere il principio: bacheche piene, urne vuote. Ad ogni modo è innegabile che la quota di “like” e roba simile costituiscano una specie di termometro politico capace di svelarci quanto un personaggio abbia presa sul pubblico. Tuttavia questo genere di sponsorizzazione politica su Facebook è davvero in grado di giovare a chi ne fa uso e consumo?

Non vi è dubbio che i risultati del capo del Carroccio, politico egemone sui social, siano stati sorprendenti. Su Facebook Salvini vanta oltre 4 milioni e mezzo di “seguaci”, su Twitter quasi un milione e 400 mila, su Instagram 2,3 milioni. Però questo successo non dipende dai quattrini impiegati nella pubblicità, piuttosto da una utilizzazione abile e strategica delle pagine personali, sulle quali il segretario della Lega pubblica dichiarazioni, proposte, opinioni, ma anche notizie di cronaca e autoscatti che lo immortalano in situazioni di vita privata e persino intima, come le fotografie con la figlia. In particolare, queste immagini servono a instaurare e cementare un rapporto di vicinanza con l’elettore, il quale in queste istantanee ritrova se stesso. Si abbatte così la antica distanza tra eletto ed elettore, i quali non soltanto hanno adesso una relazione diretta, senza intermediazioni, ma per di più vivono alla stessa maniera, consumano gli stessi prodotti, hanno le medesime abitudini: fanno colazione con fette biscottate e nutella, al bar prendono il cappuccino e il cornetto, al mattino accompagno la prole a scuola e alla sera il cane a fare i suoi bisognini e coccolano il micio.

Questa tecnica di comunicazione volta a indurre una immedesimazione del cittadino nel suo rappresentante era stata adottata già da Silvio Berlusconi nella campagna elettorale del 1994. Il leader di Forza Italia appariva ora vestito da operaio, ora da imprenditore, ora da politico che avrebbe segnato un nuovo corso. Non apparteneva a quella schiera di politici “vecchi”, che avevano deluso gli italiani, bensì era uno del popolo, pur restando un miliardario che aveva creato un impero economico, dunque anche un modello a cui ispirarsi. I social network oggi permettono di amplificare codesto meccanismo di accostamento tra rappresentanti e rappresentati. E spesso vince chi diventa più familiare, più prossimo alla popolazione, un vicino di casa.

È questa la chiave del successo elettorale: annientare la lontananza. Infatti, più si approfondisce il distacco tra politici ed elettorato più i partiti perdono preferenze. Basti considerare la sinistra, la quale, autoconvintasi della propria superiorità, si è posta ormai a distanze siderali rispetto alla gente, divenendo antipatica, o anche il M5s, che è assente nei territori e non per colpa del coronavirus. Ecco pure perché la presenza massiccia sui social non potrà mai del tutto sostituire quella nelle piazze, nelle strade, nelle periferie. Vince chi c’è. I social network sono un ausilio, uno strumento, un mezzo.

Che l’investimento di denari nella pubblicità sul web sia un elemento utile ma non determinante per scalare i sondaggi lo prova altresì ciò che sta realizzando in questi mesi Giorgia Meloni. C’è quasi una sorta di testa a testa tra Salvini e la leader di Fratelli d’Italia e anche sulla rete cresce in maniera vertiginosa il gradimento nei confronti di Meloni, sebbene la Lega spenda quasi otto volte di più rispetto a FdI in sponsorizzazioni sui social. Tra l’aprile del 2019 e il maggio del 2021 l’ex ministro dell’Interno ha sborsato 351 mila euro per aumentare la visibilità dei propri post su Facebook e Instagram, Meloni appena 46 mila. Ultimamente, ossia tra il 19 febbraio e il 18 maggio, su Fb Giorgia ha ottenuto oltre 70 mila nuovi seguaci (ed è inoltre lievitata la sua capacità di coinvolgere gli utenti); Salvini soltanto 34 mila. Passando a Instagram vediamo che la prima, nel medesimo periodo considerato, ha conquistato 33 mila follower; il secondo, dal canto suo, ne ha perduti più o meno 4.600 (dati di DeRev).

Insomma, i quattrini aiutano, ma la migliore pubblicità restano i comportamenti. E Meloni ha cominciato da un po’ a raccogliere i frutti della sua coerenza in una fase storica in cui tale bene scarseggia. A destra e a manca.

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