Paura di perdere il lavoro e di cadere in povertà a causa della crisi prodotta dalle misure anti-contagio nonché isolamento sociale sempre più acuto. Sono questi i motivi che in Giappone hanno condotto ad una impennata vertiginosa dei suicidi. Soltanto nel mese di ottobre nel Paese del Sol Levante il numero di coloro che hanno scelto di togliersi la vita ha superato quello dei morti per coronavirus dall’inizio della pandemia, 2.153 suicidi nell’arco di 31 giorni (circa 70 al dì) contro 2.050 decessi per Covid-19 dagli albori dell’anno. È la prova che la segregazione forzata e la rinuncia obbligata alla socialità, imposte dai governi di tutto il pianeta al fine di arginare il virus, creano nel medio-lungo periodo più danni che benefici.

È stata l’emittente Usa Cnn da Tokyo a lanciare una sorta di allarme mondiale, mettendo in guardia la comunità internazionale dai pericoli, fino ad ora sottovalutati, derivanti da una maniera miope e poco lungimirante di affrontare l’emergenza sanitaria la quale non tiene conto delle devastanti conseguenze economiche e psicologiche che le chiusure e la quarantena determinano sulla popolazione. La categoria più vulnerabile è quella femminile. I suicidi delle donne in Giappone sono lievitati dell’83% rispetto allo stesso periodo del 2019, mentre quelli degli uomini del 22%. Questo fenomeno è dovuto in particolare alla maggiore precarietà lavorativa del gentil sesso nei settori più penalizzati dalle restrizioni, come quello turistico e del commercio, dove sono stati già eseguiti migliaia di licenziamenti. Del resto, pure in Italia sono proprio le signore a patire per prime l’attuale paralisi del mercato del lavoro e a vivere con superiore apprensione la possibilità di restare senza impiego nel prossimo futuro. Stando ad una indagine mondiale realizzata su un campione di 10 mila esponenti del nostro genere, una crescita dei problemi di salute mentale legati alle ripercussioni della pandemia riguarda già il 27% delle donne e il 10% degli uomini.

A queste problematiche che a breve ci travolgeranno, tuttavia, appare essere disinteressato il nostro esecutivo. La superficialità con la quale l’attuale maggioranza si approccia alla questione sanitaria si esprime bene nell’osservazione compiuta dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il quale qualche sera fa in diretta televisiva ha affermato che “non è un sacrificio non andare sulle piste”, quasi rimproverando agli italiani di preoccuparsi della settimana bianca sfumata e non di coloro che crepano di corona. In verità, gli abitanti della penisola non sono afflitti poiché non possono rotolarsi sulla neve, come ritiene a torto il pentastellato, bensì perché la sigillatura degli impianti affossa un gigantesco indotto economico da cui dipendono migliaia e migliaia di famiglie. E se non si lavora non si mangia, quantunque i cinquestelle abbiano dichiarato convinti di avere abolito la povertà. Miseria e disperazione sono spesso l’anticamera del suicidio.

Ecco la ragione per cui ciò che sta avvenendo in Giappone, dove è sempre stato alto il dato relativo a coloro che decidono di farsi fuori ma mai così spaventosamente elevato, ci riguarda da vicino e dovrebbe perciò indurci a correre ai ripari. Si muore di Covid-19, però si muore pure di quella solitudine e di quella indigenza a cui siamo stati condannati da chi ci governa con la scusa di tutelarci. Conosciamo fin troppo bene la quota quotidiana dei contagiati (quasi tutti asintomatici) ma ignoriamo quella degli italiani che, non lavorando da settimane o da mesi, oggi hanno terminato tutte le risorse per potere fare la spesa o pagare l’affitto, dunque versano in una condizione drammatica e cominciano a pensare al trapasso come ad una forma di liberazione, forse l’unica, da una angoscia sempre più soffocante, che non lascia intravedere un domani più roseo o più sicuro. Il governo, nello stendere la lunga lista dei nuovi divieti in vista delle festività natalizie, non trascuri di valutare gli effetti materiali e psicologici delle sue vessanti direttive.

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