“Nessuno si è mai amato quanto me e mia moglie. Anche adesso. Non mi lascia mai solo. Pranzavamo, tornavamo a casa, guardavamo la tv, andavamo a letto e ci amavamo. Cosa vuoi di più?”, racconta Clarence Purvis, cittadino statunitense quasi centenario, in un video che ha fatto il giro del mondo. Si erano conosciuti nel 1948 e quando Carolyn, dopo quasi 65 anni di vita insieme, è morta, Clarence ha deciso di continuare a pranzare con lei ogni giorno nel loro ristorante preferito poggiando sul tavolo due foto della donna a fargli compagnia. Se c’è qualcosa che dura in eterno è proprio l’amore, quello vero. Neanche la morte può distruggerlo.

Prima o poi ci passiamo tutti e molti non la superano più. La morte di una persona cara può determinare addirittura una crisi di identità ed è in cima alla lista degli eventi più stressanti, seguono la separazione o il divorzio, la prigionia, la malattia personale o di un congiunto, le difficoltà finanziarie ed il licenziamento.

Questi fatti causano un profondo sconvolgimento emotivo perché determinano cambiamenti importanti nella nostra esistenza, i quali richiedono da parte nostra uno sforzo di adattamento. Più opponiamo resistenza a questa metamorfosi più restiamo avviluppati al nostro dolore, incapaci di metabolizzarlo e di progredire.

Del resto, accettare il distacco da chi ci è stato vicino non è facile per nessuno di noi e c’è addirittura circa un 15% di persone che non ce la fanno a risollevarsi, arrivando a mettere in stand-by il loro vivere: smettono di lavorare, di frequentare gli amici, di prendersi cura di loro stessi.

Persino gli animali soffrono la perdita di proprietari e compagni, manifestando diversi sintomi: dall’inappetenza all’apatia. Qualche anno fa una fotografa cinese documentò il suicidio di un cigno, che aveva assistito alla morte della madre. L’esemplare iniziò a sbattere la testa contro il ghiaccio fino ad arrivare al punto di togliersi la vita.

Inoltre, sono numerosi i casi di cani e gatti che, non sopportando la scomparsa del proprio padrone, si lasciano piano piano morire, sebbene non sia chiaro se a condurli al rifiuto del cibo sia il desiderio consapevole di annullarsi o la mancanza di appetito dovuta ad uno stato depressivo.

Il lutto può essere sia successivo alla perdita di chi si ama che anticipatorio. In questo caso si ha paura della scomparsa di qualcuno ancora prima che ciò accada e questo pensiero crea una condizione di malessere psico-fisico perenne. Quante volte, davanti all’ipotesi di perdere una persona importante, abbiamo pensato di non essere in grado di proseguire da soli, di fare i conti con quel vuoto, di assorbire il colpo?

Insomma, il lutto fa male ed in alcuni casi può persino ucciderci, se noi glielo permettiamo, lasciandoci andare proprio perché incapaci di lasciare andare chi ci ha accompagnato in questo viaggio chiamato “vita”. Numerose ricerche scientifiche hanno evidenziato che la morte è più comune tra le persone a lutto, dato che questo evento incontrollabile causa danni di vario tipo: aumenta i livelli di infiammazione, diminuisce memoria e concentrazione, abbassa le difese immunitarie, incide negativamente sul sonno in quanto comporta un innalzamento dell’ormone dello stress, ossia il cortisolo; inoltre, rende più probabile il rischio di infarto.

È proprio il caso di dirlo: la morte, quando non siamo noi a perire, può ammazzarci.

Non esiste un modo corretto di elaborare il dolore, dal momento che ognuno ha i suoi tempi e le sue maniere. Ma è certo che la scomparsa di chi amiamo non sarà mai superata del tutto, quel vuoto lo sentiremo sempre. Certi giorni peserà come un macigno, altri sarà più leggero. Davanti ad ogni evento gioioso della nostra esistenza penseremo a chi non è più al nostro fianco, e questo avverrà anche nelle difficoltà. Il ricordo ci consolerà ma, nello stesso tempo, ci farà male. Nulla ci resta più attaccato di ciò che non c’è più. Eppure la vita continua ed occorre andare avanti. Da soli. Come fanno ogni giorno miliardi di persone in tutto il mondo.

In cerca di sicurezza, tratteniamo tutto: amori, parenti, abitudini, oggetti, ci leghiamo persino ai nostri dolori. Ci aggrappiamo strenuamente a ciò che è stato, per paura di ciò che sarà, senza renderci conto che tutto ciò che conta davvero è dentro di noi, nel nostro cuore. Tutto il resto scivola. Le persone vanno via, cambiano strada, muoiono, ci lasciano, ma ciò che abbiamo condiviso e provato resta.

Ecco perché il modo migliore per sopravvivere alla morte è non avere rimpianti e vivere chi amiamo quando c’è. Per quanto questo non ci piaccia: esistere è fare i conti con la dipartita. Nostra e degli altri. Più a lungo camperemo e più dovremo affrontarla. E la nostra stessa esistenza è un continuo spegnersi per rinascere. In quest’ottica, anche il lutto può essere un’occasione, passata la fase dell’elaborazione, per una vita nuova.

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