I lavoratori sia del settore pubblico che di quello privato, senza eccezioni, sono obbligati ad esibire il certificato verde per poter lavorare, dunque per potere esercitare un diritto costituzionale e inviolabile. Il lavoro non è solo un diritto, è anche un valore, il valore su cui si fonda la nostra Repubblica, così come stabilisce l’art.1 della Costituzione. Insomma, l’ordinamento italiano poggia sul lavoro, eppure il governo vara misure che comprimono ed opprimono il diritto al lavoro, prevedendo altresì che il lavoratore il quale non sia munito di green pass possa essere sospeso e possa essergli negato lo stipendio, quantunque questi abbia figli da mantenere.
Solo durante il regime fascista il lavoro è stato subordinato al requisito del possedimento di un documento, in quel caso della tessera del Partito Nazionale Fascista. Tale tessera era necessaria per coloro i quali lavoravano nel settore pubblico, ossia erano tenuti ad averla tutti gli impiegati statali. I professori universitari, invece, a partire dal 1930 avevano obbligo del giuramento, ovvero dovevano giurare sul partito fascista, però non erano obbligati ad essere muniti di tessera del partito fascista.
Il regime fascista, tuttavia, distingueva tra lavoratori del pubblico e del privato. A quelli del privato non era richiesta la tessera del PNF. I giornalisti, ad esempio, non dovevano possederla. Ovvio che, alla fine, la prendevano tutti perché averla in tasca era un modo per ottenere favori, essere accettati, uniformarsi, essere considerati parte della società.
Il regime nazista, dal canto suo, non impose mai l’obbligo di tesseramento, cioè l’iscrizione al partito nazionalsocialista. Anzi il partito stesso era molto selettivo, al contrario di quello italiano, fascista, che tendeva ad allargare la sua base, includendo tutti e chiunque. L’adesione al partito nazionalsocialista era volontaria, non obbligatoria, anche per chi era impiegato nel pubblico. Insomma, l’obbligatorietà della tessera era prevista solamente nel regime fascista.
Quando fu introdotto l’obbligo di tesseramento per i lavoratori, all’interno del governo Mussolini e del Gran Consiglio del Fascismo, che costituiva la segreteria politica del partito nonché fulcro del potere nell’Italia fascista, prese il via una discussione molto accesa in quanto alcuni ministri e dirigenti erano nettamente contrari a questa misura poiché essa creava una sorta di fedeltà coatta per cui ci si iscriveva al partito unicamente per ragioni di opportunismo. Cosa vera, come dimostrarono in seguito i fatti: il 25 luglio del 1943 il partito, nonostante la mostruosa quantità di iscritti, crollò nel giro di 24 ore, proprio perché l’adesione non era convinta, bensì imposta o dettata da questioni di convenienza.