Quelli che fino a qualche giorno addietro non erano che informali scambi di vedute, ardite proposte e timidi suggerimenti stanno forse per tradursi in provvedimenti legislativi esecutivi: i vecchi a breve rischiano di essere imprigionati tra le pareti domestiche, emarginati e dimenticati, lasciati ad ammuffire con la scusa per di più di tutelarne vita e salute. È questa la ciliegina sulla torta di quello che potremmo definire l’anno nero dei nonni.

Era il 17 ottobre del 2019 quando il comico Beppe Grillo, 72 anni, se ne venne fuori con una bizzarra domanda: “E se togliessimo il voto agli anziani?”. Per il sedicente Elevato dal momento che “gli interessi dei canuti sembrano essere in contrasto con quelli delle nuove generazioni” potrebbe essere utile “eliminare il diritto di voto ad una certa età”. Dunque, secondo il cervello del M5s, privare di codesta facoltà quasi 14 milioni di cittadini, i quali peraltro hanno pagato e pagano le tasse, non sarebbe un colpo al cuore della democrazia, bensì una maniera per migliorare il sistema, rendendolo più equo. Potrebbero apparire innocue farneticazioni quelle partorite da Grillo, se non fosse che personaggi considerati saggi ed equilibrati hanno corroborato l’incostituzionale idea del cabarettista volta ad abolire il suffragio universale a scapito di coloro che hanno 65 e più anni, come il sessantenne sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Il quale in quei giorni twittò: “Tutti contro Grillo, che pone un tema invece assai serio: una popolazione con forte prevalenza di anziani vota e voterà sempre di più contro gli interessi delle giovani generazioni. Mi pare che la sua proposta sia solo una provocazione. Qualcuno ne ha di migliori?”.

Poveri nonni! Mantengono la famiglia, sostengono i figli disoccupati, crescono i nipoti, lavorano, pagano le tasse, sgobbano in casa, si sacrificano, e noi come li ricompensiamo? Accusandoli di mangiarsi le pensioni, di rubare impieghi, di avere inquinato il pianeta, maltrattandoli e meditando di strappare loro il sacrosanto diritto di eleggere i propri rappresentanti, quindi di essere rappresentati, privazione che costituisce pena accessoria per il condannato nel codice penale. Si tratta di un modo per punirli, facendoli sentire estranei alla comunità di cui sono pure parte non solo integrante ma indispensabile, pronti per essere spediti al macero, e poco ci manca.

Poi è esplosa la pandemia e le prime vittime sono state proprio loro e anestesisti e rianimatori di tutto il globo si scambiavano linee-guida che prevedevano (e di fatto prevedono) di dare priorità, in condizioni di saturazione delle terapie intensive, ai soggetti giovani e con maggiori chance di farcela, parcheggiando signori e signore dai capelli grigi in corridoio, in soffocante attesa della morte. Ed ora a destra e a sinistra si vogliono addirittura isolare gli anziani, impedendo loro di mettere il naso fuori dall’uscio, discriminando milioni di individui in base al parametro dell’età. Tanto vale crepare subito e farla finita.

Perché è vero: a causa delle complicanze prodotte dal coronavirus si può morire in particolare dai 70 in su. Ma si perisce altresì di solitudine, abbandono, inedia, disperazione. Mali di cui i nostri cari e purtroppo poco apprezzati avi soffrono oggi più che mai, in questa società post-moderna che ha lo sfrenato culto della giovinezza intesa come valore assoluto da rincorrere a perdifiato. I vecchi non fanno assembramenti, non vanno a ballare, non compiono scorribande, non rompono le scatole a nessuno. Vogliamo forse spogliarli della elementare libertà di fare due passi per respirare?

Ostracizzare i vegliardi non giova a nessuno, neppure a chi matusa non lo è. Significherebbe nascondere nell’armadio la nostra parte migliore, il pilastro e la spina dorsale dell’Italia, che è il Paese più longevo al mondo dopo il Giappone.

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