L’umanità intera, per non smentire se stessa, è riuscita a dividersi pure sul virus. Da un lato ci sono quelli definiti in maniera impropria “negazionisti”, categoria che ingloba ingiustamente persino coloro i quali non ricusano affatto la sussistenza del corona ma tuttavia riconoscono, non a torto, che affrontare a muso duro l’epidemia attraverso chiusure e coprifuoco possa condurci sul baratro di una catastrofe economica. Dall’altro stanno i terrorizzati che indossano la mascherina addirittura allorché si trovano da soli in macchina e si consumano le mani a forza di disinfettarle, o i tifosi della quarantena, che di solito hanno stipendi garantiti e lavorano in smart-working, o quegli individui che se ti beccano per strada con naso e bocca scoperti nella migliore delle ipotesi ti aggrediscono verbalmente, nella peggiore ti fanno nero.
E poi c’è Piero Chiambretti, giornalista e brillante show-man dalla tagliente ironia, che nel giro di qualche giorno, lo scorso marzo, è passato dall’aggiornarci su Rete4 circa la diffusione del contagio al vivere sulla sua pellaccia l’esperienza terribile della malattia. E mica da asintomatico. Era il 15 marzo quando Piero fu ricoverato d’urgenza presso l’ospedale Mauriziano di Torino insieme alla sua mamma Felicita, “ovvero la felicità”, parafrasando il poeta Guido Gozzano. Dalla struttura sanitaria Chiambretti sarebbe uscito dopo due settimane, in pigiama e nient’altro, come il sopravvissuto ad un disastro naturale, sua madre invece mai più, poiché lì ella si è spenta proprio a causa del virus made in China.
“Questo virus non è uno scherzo, produce una morbo grave, dal quale si viene fuori soltanto se muniti di un fisico sano e se si gode di tanta fortuna” – esordisce il presentatore – “ecco perché sono spaventato e particolarmente preoccupato”. “Da una parte, mezzo Paese sembra non avere contezza della perniciosità di tale male; dall’altra, i provvedimenti messi a punto da esecutivo e comitato tecnico-scientifico si sono dimostrati facili da aggirare. Quando vedo feste di decine di persone in casa o affollate discoteche all’aperto, mi accorgo che qualsiasi regola diventa una lotta contro i mulini a vento”. Non ha dubbi Piero: “È ancora assente un profondo senso di responsabilizzazione da parte della società intera, elemento che sarebbe più efficace rispetto a qualsiasi protocollo”.
Certo è che neanche il governo, il quale pure detta i comportamenti da adottare, è riuscito a impedire che gli assembramenti si creino ogni dì sui mezzi pubblici, che, essendo spazi chiusi e ristretti, costituiscono formidabili luoghi in cui il corona può espandersi indisturbato.
“Non mi stancherò mai di ripeterlo: attenzione, attenzione, attenzione”, sottolinea il conduttore, attualmente impegnato nel format “Tiki Taka – La Repubblica del pallone”, in onda ogni lunedì su Italia1 in seconda serata.
A proposito del dispositivo di protezione individuale, a cui molti si proclamano insofferenti, Piero afferma: “È un sacrificio portarlo? Macché, il vero sacrificio sarebbe non adoperarlo”.
“Di notte sono ancora assalito dagli incubi. Sogno la mia degenza in ospedale. Eccomi di nuovo lì, smarrito, circondato da medici e infermieri di cui non scorgo neanche gli occhi, dato che sono sigillati nelle loro tute ermetiche”, confessa Chiambretti. Sono i postumi dell’evento traumatico che ha attraversato, proprio nel pieno della pestilenza. “Giravo dei video con il telefonino, scattavo fotografie, intenzionato a documentare quella realtà deformata in cui ero precipitato da un momento all’altro”. Il presentatore ci confida che “almeno una volta alla settimana” visiona “tutto il materiale raccolto, al fine di non dimenticare ciò che succedeva in quelle zone off-limits, poste al margine tra la vita e la morte, che sono i reparti Covid”.
“Le mie condizioni erano estremamente critiche. Non mi restava altro da fare che aspettare che il mio corpo reagisse, difendendosi da questa aggressione micidiale. Fortunatamente mi è stato concesso di utilizzare il telefonino, che è stato un elemento di grande sostegno”, continua. “La paura è tuttora pazzesca”, rivela Chiambretti, il quale non si ritiene “definitivamente immune dal contagio”. “Visto che si sente tutto e il suo contrario, sono ancora più cauto di prima, in fin dei conti si tratta di un virus che non conosciamo bene. Infettarsi è fin troppo facile, avviene persino quando ti sei attenuto ad ogni prescrizione”, puntualizza Piero, che si dice “felicemente costretto a sottoporsi ad un esame del tampone a settimana per motivi di lavoro”. E poi aggiunge: “Certo, nemmeno ciò mi rassicura”.
Quest’uomo, il quale da decenni ci solleva l’umore, ha vissuto a marzo il periodo più drammatico della sua esistenza. Egli non ha dovuto fronteggiare soltanto la malattia e l’inevitabile solitudine in cui sprofondano i malati a causa dell’alta contagiosità del Covid-19, ma altresì la scomparsa di sua madre. “Testa e fisico rispondono al loro meglio. Ho scoperto in me una forza che non credevo di possedere. A mente fredda mi chiedo come abbia fatto ad uscirne. Bisogna tirare fuori gli attributi”.
Certi eventi ci cambiano per sempre e rappresentano delle cesure tra ciò che eravamo ieri e ciò che siamo oggi. “Sono più forte. Però pure più fragile. Del resto, mi rendo conto che non ci sono le garanzie per compiere programmi a lungo termine, quindi affronto ogni cosa giorno per giorno. Ho acquisito maggiore concretezza”, prosegue il giornalista, il quale ha ravvisato nella preghiera una fonte di consolazione: “Chiedo al Signore che non mi succeda mai più e che questa pandemia possa terminare per tutti”.