Francesco Bellomo, ex consigliere di Stato, può vantare uno dei migliori curriculum della magistratura italiana, eppure non ne fa più parte. Espulso all’esito di un procedimento disciplinare che la Procura di Roma ha definito “quantomeno discutibile”, e sulla cui legittimità dovrà pronunciarsi il Tar del Lazio, sotto la spinta dei media è stato poi incriminato per presunte vessazioni in danno delle sue borsiste.
Accuse da cui è stato prosciolto tre volte, senza neppure un rinvio a giudizio. La stampa nazionale, dopo averlo messo alla gogna, come si usa fare con i personaggi pubblici che si vogliono eliminare, non ha approfondito la notizia, alla quale ha riservato un trafiletto ai margini delle pagine di cronaca.
L’uomo – per la sua insopportabile vanità e l’apparente snobismo – può risultare facilmente antipatico, ma il trattamento che ha subito viene riservato ai criminali, mentre lui i criminali li perseguiva (con risultati, peraltro, eccezionali).
Per averlo difeso, andando contro il politicamente corretto, sono stata criticata e derisa, però avevo ragione io. Anche perché mi sono documentata sulle carte processuali e, tra le altre cose, ho scoperto che i suoi studenti (a cominciare dalle borsiste) lo ammiravano. Studenti che, con percentuali largamente superiori alla media nazionale, vincevano il concorso in magistratura.
Adesso, in attesa – ci si augura per la Giustizia italiana – di poter rimettere la toga, continua a scrivere libri e ad insegnare. Tra poco il suo corso prenderà il via anche a Milano. Una felice notizia per gli studenti milanesi che aspirano a diventare magistrati o avvocati, in quanto, grazie alla straordinaria capacità di Bellomo di spiegare il diritto e le leggi, il metodo dell’ex consigliere di Stato si è rivelato molto utile per il superamento del concorso in magistratura, considerata l’altissima percentuale di suoi ex alunni impegnati nelle procure di tutto il Paese.