I progressisti non lasciano in pace neppure i morti. L’ultimo a beccarsi accuse di razzismo e sessismo è il buonanima Indro Montanelli, la cui statua posta all’interno dei giardini pubblici intitolati proprio al fondatore del Giornale è reputata una “offesa al capoluogo lombardo e ai suoi valori democratici e antirazzisti”. Lo hanno scritto i Sentinelli di Milano, gruppo di cittadini che si definiscono “laici e antifascisti”, in una lettera aperta indirizzata al sindaco Beppe Sala e ai consiglieri comunali, chiedendo che il monumento, inaugurato il 22 maggio del 2006 dal sindaco di centrodestra Gabriele Albertini, venga estirpato. La richiesta segue la scia delle proteste scoppiate negli USA in seguito all’uccisione dell’afroamericano George Floyd a Minneapolis da parte di un agente di polizia. Gli stessi Sentinelli, infatti, precisano nella loro epistola che a Bristol i militanti del movimento Black Lives Matter hanno abbattuto la statua di bronzo del mercante e commerciante di schiavi dall’Africa Edward Colston. Il lettore a questo punto si starà domandando come diavolo si faccia ad assimilare una nobile penna a un trafficante di esseri umani. Proviamo a spiegare le contorte elucubrazioni partorite da codesti detrattori di Montanelli, i quali descrivono costui alla stregua di un pedofilo pervertito, di quelli dediti al turismo sessuale minorile, attività peraltro molto amata oggigiorno dagli abitanti della penisola, se consideriamo che l’Italia risulta tra i primi sei Paesi al mondo da cui partono i clienti di minori costretti a prostituirsi. Dunque, i Sentinelli rimproverano al cronista di avere sposato una bambina eritrea di dodici anni, dopo averla acquistata come fosse una schiava, ai tempi della guerra in Etiopia. Correva l’anno 1936. La petizione ha ottenuto l’immediato appoggio della consigliera del Pd Diana De Marchi, la quale si è impegnata a portare in consiglio questo tema di discussione riconoscendo come valide le motivazioni che stanno alla base della istanza. Peccato però che si tratti in parte di una bufala messa in circolazione da lustri al fine di danneggiare l’immagine e infangare la memoria di un giornalista tanto brillante quanto da sempre scomodo, in vita come in morte. Infatti, ciò che i Sentinelli sostengono, ossia che Indro “fino alla fine dei suoi giorni ha rivendicato con orgoglio il fatto di avere comprato una bimba eritrea di dodici anni perché gli facesse da schiava sessuale”, non corrisponde a verità e per accorgersene è sufficiente leggere ciò che il giornalista scrisse sul Corriere della Sera del 12 febbraio del 2000. Vero è che Montanelli non nascose mai questa vicenda: egli prese in moglie una fanciullina, così come prevedevano gli usi della popolazione locale tanto che Indro fu spinto a sposare una donna indigena dal responsabile del battaglione eritreo da lui stesso guidato. Questo istituto, diffuso nelle colonie italiane, si chiamava “madamato” e consisteva in una relazione temporanea more uxorio tra il soldato giunto dal Belpaese e una giovane del luogo, denominata “madama”. Indro era figlio del suo tempo e come chiunque ha diritto di essere giudicato nella cornice della sua epoca poiché in essa si inseriscono le sue azioni. 

“La ragazza si chiamava Destà e aveva 14 anni: particolare che in tempi recenti mi tirò addosso i furori di alcuni imbecilli ignari che nei Paesi tropicali a quattordici anni una donna è già donna, e passati i venti è una vecchia”, vergò il giornalista nel 2000. Dunque Destà era quattordicenne, età in cui anche in Italia era possibile contrarre matrimonio, e Indro non fu mai aggressivo o violento con lei, tanto che ella gli restò affezionata pure dopo che Montanelli fece ritorno in Italia. Ecco il racconto del cronista: “Dopo la fine della guerra, uno dei miei tre “bulikbasci” che stava per diventare “sciumbasci” in un altro reparto (si tratta di gradi militari delle truppe indigene), mi chiese il permesso di sposare Destà. Diedi loro la mia benedizione… Nel 1952 chiesi ed ottenni di poter tornare nell’Etiopia del Negus e la prima tappa, scendendo da Asmara verso il Sud, la feci a Saganeiti, patria di Destà e del mio vecchio bulukbasci, che mi accolsero come un padre. Avevano tre figli, di cui il primo si chiamava Indro. Donde la favola, di cui non sono mai più riuscito a liberarmi, che fosse mio figlio”. Da queste parole si evince un sentimento di tenerezza nei confronti della signora, la quale a sua volta nutriva affetto quasi filiale nei confronti di Indro, tanto da dare al suo primogenito il medesimo nome del soldato italiano a cui era stata legata. Chi darebbe il nome dello stupratore al proprio pargoletto? Bisogna concludere che le recriminazioni mosse contro il direttore non hanno alcun fondamento, basandosi su leggende, dicerie, pettegolezzi, turpi illazioni, che ancora perseguitano uno dei più grandi giornalisti del nostro Paese, solo perché ritenuto “fascista”. 

Invitiamo i solerti Sentinelli a interessarsi a cause più utili per la comunità. Ne proponiamo qualcuna. Il parco pubblico dove campeggia la statua di Indro, intento sulla macchina da scrivere, è gremito di immigrati che dormono per terra. Preoccupatevi di questi. La sinistra si batte per avere più extracomunitari e poi li butta sul marciapiede, dimenticandosene. Poi ci sarebbe la problematica delle spose bambine, figlie di migranti a cui ad un certo punto viene impedito di andare a scuola affinché vengano addestrate in casa a divenire coniugi ubbidienti, prima di essere spedite nei Paesi di provenienza dove sono obbligate a maritare uomini molto più grandi, scelti dai loro padri. E della infibulazione praticata persino sul nostro territorio ne vogliamo parlare? Ma se i Sentinelli prediligono occuparsi di dediche, iscrizioni e odonomastica, perché non iniziare con il cancellare i nomi delle vie italiane consacrate ai feroci comunisti Lenin, Stalin e Tito? 

Articolo pubblicato su Libero l’11 giugno 2020

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