Rabbiosi, aggressivi ed egoisti. Era questa la descrizione degli italiani prodotta dal 52° Rapporto Censis. Ce li ricordavamo inferociti, animati da un profondo rancore a causa della mancata ripresa economica, delle difficoltà a ritagliarsi il proprio posto nel mondo, delle aspettative deluse da parte di una classe politica da cui gli abitanti della penisola si sentivano messi da parte. Correva l’anno 2018. E da allora la situazione non è migliorata. Nel dicembre del 2019 una nuova fotografia della società, sempre scattata dal Censis, ci ha mostrato il popolo italiano sfiduciato e ansioso, bisognoso e desideroso di avere un uomo forte al comando, capace di imprimere continuità all’azione di governo e stabilità ad un Paese che in un anno e tre mesi aveva visto insediarsi e succedersi già due esecutivi, prima quello gialloverde, poi quello giallorosso.
E adesso, reduci come siamo da pestilenza e lockdown, qual è il nostro stato d’animo? Lo scoraggiamento è aumentato negli ultimi mesi, acuito dalle rigide misure restrittive volte al contenimento del contagio nonché all’agire confuso del BisConte, che ha emesso decreti su decreti ogni volta indecifrabili avviando pure una caccia al trasgressore che a molti è apparsa quale una persecuzione priva di senso. Sono incrementati divieti e obblighi e si sono assottigliati diritti e libertà.
Secondo l’ultimo rapporto di Euromedia Research, solo 5 italiani su 100 nutrono ancora fiducia nei politici. La collera, sentimento dannoso ma che pure può motivarci e spingerci all’azione, è mutata dunque in avvilimento e pessimismo. Stiamo peggio di prima. Stiamo male più che mai.
Giuseppe Conte coltivava un suo preciso disegno. Intendeva proporsi quale riferimento ed era convinto (non dubitiamo che tuttora lo sia) di poter soddisfare, una volta sbarazzatosi di Matteo Salvini, sua spina nel fianco, l’esigenza degli italiani di avere al vertice delle istituzioni un individuo risoluto e vigoroso, si è persino paragonato a Winston Churchill, eppure l’obiettivo è miseramente fallito.
Il foggiano non è stato autorevole, bensì autoritario; non è stato paterno, ma paternalista; non si è mostrato forte, piuttosto debole; proteso costantemente verso la ricerca febbrile di una legittimazione che di fatto gli manca dal principio – sua gigantesca lacuna –, si è affidato del tutto agli scienziati, scaricando sul comitato tecnico-scientifico responsabilità proprie di governo; in pompa magna ha annunciato decreti prima che venissero pubblicati, provocando non pochi problemi, come l’esodo in massa dal Nord al Sud la prima settimana di marzo; ha sottovalutato il rischio della epidemia, non imponendo l’adozione delle misure profilattiche già a gennaio-febbraio, poi è piombato nell’eccesso opposto, diluendo i tempi della ripartenza con ripercussioni negative persino irreversibili su piccole e medie imprese che hanno dovuto chiudere i battenti. Giuseppi ha fatto enormi promesse, che sono rimaste lettera morta.
Oltre che per le conferenze del sabato sera in diretta televisiva alle ore 20 o giù di lì e per i cronici ritardi, ce lo ricorderemo per i suoi risultati: record di disoccupati, crollo della produzione, caduta dei consumi. Chi sarebbe ora disposto a credergli? Soltanto Rocco Casalino, forse. Magari le intenzioni erano pure buone, però Conte non riesce proprio a farsi amare, è troppo pieno di se stesso per suscitare simpatia, le sue risposte sono spesso arroganti, sembra più concentrato sull’apparenza che sull’essenza.
Andrebbe bene come televenditore piuttosto che come statista. Egli è tanto marketing e niente arrosto. Il prodotto peggiore della politica spettacolo e non a caso il suo portavoce nonché punto di riferimento è divenuto famoso partecipando ad un reality show.
Ad essere diffidenti nei confronti dei politici sono soprattutto gli elettori del Movimento 5 Stelle, i quali sono stati sedotti e abbandonati. Il voltafaccia che il loro partito di riferimento gli ha riservato non ha precedenti. I pentastellati si sono smentiti su tutto, giungendo a diventare ciò che hanno sempre condannato e avversato. Gli italiani non sono fessi e lo hanno dimostrato sia alle elezioni europee che alle regionali in Emilia-Romagna e in Calabria, appuntamenti dai quali il partito di Beppe Grillo è uscito con le ossa rotte.
Erano 11 milioni gli elettori dei cinquestelle nel 2018, ora, nel giro di appena due annetti, sono quattro gatti. Ma chi sarà in grado di riconquistare la fiducia già tradita dei cittadini? Il compito è arduo.
Scartati Conte e i sudditi di Davide Casaleggio, scartati Matteo Renzi, che con il suo Italia Viva si sta battendo per i clandestini più che per il popolo del Belpaese e che seguita a dichiarare illegittimo l’operato di un esecutivo di cui fa parte e che tiene in piedi, e altresì Silvio Berlusconi, il quale, sebbene sia ancora molto amato, con il suo Forza Italia non vanta più quel peso politico che deteneva una volta, scartato l’inconsistente Nicola Zingaretti e il Pd, reo di una alleanza con i prima disprezzati cinquestelle, non restano che Matteo Salvini e Giorgia Meloni. A meno che in questa fase oscura e incerta non salti fuori un soggetto nuovo. Che non puzzi né di naftalina né di imbroglio. Ad oggi non si scorge nessuno all’orizzonte neanche con il binocolo. Ma non si sa mai.