Hanno destato scandalo nelle ultime ore le prediche, contenute in video diffusi sulla rete, dell’imam di Bologna Omar Mamdouh, il quale si è reso autore di dichiarazioni sessiste, contro il femminismo, il Natale e i valori occidentali, sia quelli cristiani che giuridici. C’è stata una risposta indignata da parte di diversi esponenti politici di centrodestra, i quali, tuttavia, hanno affrontato la questione con miopia e superficialità.
Il problema non è costituito da questo imam che su TikTok, dove ha un seguito di circa 20 mila seguaci, esalta il maschilismo e il patriarcato. Il problema è ben più ampio ed è indispensabile, anche alla luce dello scenario internazionale, in cui siamo minacciati da regimi islamici estremisti che ci odiano in quanto occidentali e vorrebbero il nostro annientamento, affrontarlo.
Omar Mamdouh non è soltanto il classico islamico estremista che giustifica e incoraggia forme di apartheid di genere, che mostra disprezzo verso la nostra civiltà e che concepisce la donna quale schiava del marito o del padre, egli è stato posto alla guida della principale moschea di Bologna da un sistema di potere estremistico che da tempo ha affondato i suoi artigli nel cuore del nostro Paese. Mamdouh, infatti, non è un caso isolato, una eccezione. Egli è succeduto a Zulfiqar Khan, espulso nell’ottobre del 2024 per motivi di sicurezza nazionale. Ci siamo liberati del male ma ci siamo ritrovati altro male.
Ed è proprio questo il punto. Perché a capo della moschea di Bologna si susseguono imam radicali, addirittura considerati pericolosi per la sicurezza nazionale? E perché noi consentiamo che questi predicatori di odio e violenza svolgano la loro attività di proselitismo, accorgendocene soltanto dopo e qualche volta limitandoci a fare spallucce? Stiamo forse trascurando una questione molto più seria e preoccupante?
Dalla documentazione contenuta nel decreto con il quale il ministro dell’Interno Piantedosi ha espulso Khan risulta che questi si autodefiniva “estremista islamico” in senso stretto, esaltava la jihad, chiamata “pilastro della religione islamica”, il martirio nonché i sostenitori e i membri di Hamas, reputati “martiri”. Lo stesso ha espresso ripetutamente posizioni antisemite, antioccidentali e omofobe. Ha affermato: “L’omosessualità è una malattia da curare per evitare l’estinzione”. E ha pregato più volte Allah affinché “distrugga gli oppressori”, che saremmo noi occidentali. E il tizio ci viveva pure sul groppone.
Gli inquirenti hanno appurato che Khan era in contatto con ambienti radicali nonché “in grado di favorire l’infiltrazione nel territorio bolognese di organizzazioni politico-religiose e para-terroriste”.
Il suo successore non è da meno, attenzione. La sua attività di proselitismo è sfacciata, cosa che ci fa comprendere il senso di legittimità delle loro azioni e di impunità che anima questi soggetti. Egli esorta continuamente i fedeli a sposare ruoli rigidamente patriarcali, sostiene che una donna debba stare “in casa, con il marito”, e che “se lavora senza permesso sta violando la sharia”. Prende di mira la cultura occidentale, descrivendola come corrosiva dell’istituto familiare a causa della libertà inaccettabile della donna e ha affermato, in uno dei suoi numerosi video”, che “le donne occidentali sono immorali, senza pudore, corrono dietro al loro ego e distruggono la società con la loro libertà sfrenata”.
Insomma, è evidente che urgono indagini accurate su questo individuo, il quale propone una visione misogina della donna, in contrasto con i valori costituzionali di uguaglianza e dignità sanciti dalla nostra Costituzione.
Insomma, dove’è questo islam moderato di cui tanto ci parla la sinistra femminista antisessista pacifista antifascista e bla bla bla? Moderazione e islam sono due termini che fanno a pugni, ma i progressisti fingono di non vedere.
E ora il quesito fondamentale è: chi finanzia la moschea di Bologna?
Chi mette i soldi? Da dove arrivano i fondi che hanno permesso e permettono il suo mantenimento, le sue attività, le sue espansioni? Non c’è mai stata chiarezza su questi punti, ma solo vaghezza. Insomma, non sono pubblici i dettagli dei donatori specifici.
Sappiamo che la moschea di Bologna è gestita dalla Comunità Islamica di Bologna, affiliata all’Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia (UCOII), collegata agli ambienti dei Fratelli Musulmani. L’UCOII è stata oggetto di attenzione per presunti collegamenti con fondazioni di matrice qatarina o Kuwaitiana, in particolare con organizzazioni con legami controversi, come la Qatar Charity, una delle più attive nel finanziamento di moschee e centri islamici in Europa, dalla quale ha ricevuto milioni di euro tra il 2017 e il 2020. La Qatar Charity è sotto osservazione in vari Paesi per legami ambigui con entità islamiche estremistiche.
Il sospetto, e uso la parola con piena consapevolezza, è che parte dei finanziamenti possano giungere da Paesi che non brillano per amore della democrazia, della parità uomo-donna, dei diritti civili. Peggio ancora: che vi siano legami, anche indiretti, con realtà radicali o persino jihadiste. Ipotesi? Finché non si risponde, restano possibilità legittime da investigare.
E allora mi rivolgo al Comune di Bologna, alla sua Giunta, alla sua “società civile” così solerte nel parlare di antifascismo, di inclusione e di gender, ma stranamente muta quando si tratta di trasparenza verso chi predica sotto minareti non sempre innocui.
Ecco le domande che ogni giornalista serio (non uno stipendiato dell’apparato) dovrebbe fare: quali sono le fonti di finanziamento della moschea di via Pallavicini, a Bologna? Esistono contributi provenienti da Paesi esteri? Se sì, quali? Sono tracciati e dichiarati pubblicamente? Il Comune ha mai verificato la provenienza dei fondi? Se sì, quali documenti può esibire a conferma di questo controllo?
Esiste un protocollo di vigilanza sul contenuto delle prediche e sull’identità degli imam che operano nella moschea? Sono imam formati in Italia o inviati da regimi esteri? Qual è il rapporto tra la moschea e l’UCOII (Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia? L’UCOII riceve fondi pubblici, diretti o indiretti? E se sì, a che titolo?
E infine: perché tutto questo viene taciuto ai cittadini? Perché ogni domanda viene trattata come un’eresia, ogni richiesta di trasparenza come un atto razzista, ogni accusa come islamofoba?
Il cittadino ha diritto di sapere se in nome della tolleranza stiamo favorendo la penetrazione di ideologie incompatibili con la nostra civiltà. Quella civiltà che ha prodotto la libertà, l’emancipazione, il rispetto delle donne, dei gay, dei dissidenti. Quella civiltà che oggi si vorrebbe disprezzare in nome di una presunta superiorità morale altrui, fatta di veli integrali, silenzi, divieti, punizioni, lapidazioni e impiccagioni.