Lo chiamano “velo”, termine che rimanda a qualcosa di impalpabile, di leggero e soave, eppure esso è il simbolo dell’assoggettamento e del dominio della donna da parte dell’uomo nella cultura islamica. Silvia Romano lo considera emblema di libertà, ma si tratta di una libertà negata.

Sebbene alcune signore sostengano di avere deciso in autonomia di ricorrere al velo, una donna che lo porta non è “libera di metterlo”, come facciamo noi occidentali quando la mattina apriamo il guardaroba e scegliamo i pantaloni o la gonna, la camicia bianca o il top nero, il rossetto rosso o quello rosa, bensì è “costretta ad indossarlo”, costretta a coprirsi, costretta a nascondersi, costretta a soffocare sotto metrature di stoffa per non disturbare il maschio, per non farlo cadere in tentazione, per non corromperlo con la propria impurità.

Il velo è il simbolo della inferiorità del genere femminile rispetto a quello opposto, convinzione che fa parte di quel tipo di cultura abbracciata da Romano.

Inoltre, non si può definire “libera scelta” quella che come alternativa prevede l’esclusione sociale da parte della comunità, il disprezzo della famiglia, il disonore, la forza bruta, la violenza, la morte.

Dunque, cara Silvia, non chiamarla “libertà”. Poiché le tue parole rappresentano un’ingiuria verso centinaia di migliaia di ragazze che, sia in Oriente che in Occidente, sono state massacrate e ancora muoiono per essersi opposte a quel sottile “velo” di piombo con cui erano obbligate a tappezzare il capo. Penso all’iraniana Nargess Husseini, 34 anni, arrestata brutalmente e condannata a due anni di prigionia poiché nella primavera del 2018 ha scoperto il capo per le strade di Teheran. Durante quelle proteste pacifiche decine di donne hanno subito lo stesso trattamento.

Il mio pensiero si rivolge pure a quelle ragazzine, coraggiose e rivoluzionarie, che sul nostro territorio vengono ogni dì picchiate, rasate, sfigurate, persino ammazzate qualche volta, perché si ribellano all’imposizione del velo.

Succede pure in questo momento. Ma Silvia Romano non lo sa. Ella crede che i suoi sequestratori siano umani, giusti e disinteressati al denaro, che il male che le hanno fatto sia voluto da Dio, anzi da Allah, che il velo consenta a chi la osserva di accorgersi della sua anima e non del fatto che la giovane è tornata libera ma non è più libera.

libro ali di burro

Il primo libro di Azzurra Barbuto
A 10 anni dalla prima edizione, la seconda è ora disponibile su Amazon in tutte le versioni

Acquistalo su Amazon