“Insieme ce la faremo”, lo ha detto Alessia Bonari martedì sera sul palco di Sanremo alla serata inaugurale del Festival e non avrebbe potuto scegliere affermazione più banale. Che noia che barba che barba che noia! L’infermiera di ventiquattro anni, trasformata in eroina nell’ambito della lotta al coronavirus dopo avere postato la scorsa primavera sui social network una sua fotografia a fine turno con i segni neri della mascherina sul pallido volto, si è congedata dalle luci della ribalta sanremesi con queste parole, proprio come da oltre un anno sono soliti fare politici e personaggi dello spettacolo di tutto il globo, i quali, allorché non sanno cosa diamine comunicare, ricorrono a questo genere di espressioni.
E qualche ora dopo Bonari lo ha ribadito il presidente degli Usa Joe Biden, che ha preso le distanze dalla decisione del governatore del Texas di aprire tutto e abbandonare le mascherine. Per il successore di Trump, il virus si sconfigge stando uniti. Non si fa altro che ripetere la medesima solfa: dobbiamo unirci per superare questo momento. Vana retorica, la quale oramai non produce alcun effetto e risulta sempre più sterile e vuota, oltre che insopportabilmente scontata.
Tutti noi ricordiamo quando l’ex premier Giuseppe Conte fece il suo primo discorsetto relativo alla epidemia. Erano quasi le idi di marzo del 2020 e in tv e sui social veniva diffusa senza tregua questa storica frase: “Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci con più calore e per correre insieme più veloci domani. Tutti insieme ce la faremo”. Autore: il duetto Conte-Casalino, più famoso del celebre Battisti-Mogol. Da quell’istante fu il trionfo dell’hashtag “insieme ce la faremo”, accompagnato da quello “andrà tutto bene”. Messaggi urlati sui balconi, appiccicati sulle vetrine dei negozi chiusi, scritti ovunque, fino alla nausea. Alla stessa maniera Conte diede il via alla Fase 2, quella definita “fase di convivenza con il corona”. “Domani inizierà la fase 2. Il futuro dell’Italia è nelle nostre mani, insieme ce la faremo”, proclamò il 3 maggio scorso l’avvocato del popolo. Anche il ministro della Salute Roberto Speranza ogni dì specificava: “Ci tocca prendere scelte dure. Insieme ce la faremo”. In occasione della Festa Nazionale della Repubblica, il 2 giugno, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella non fu da meno e puntualizzò ancora: “Insieme ce la faremo”.
Dopo un anno dall’avvento del covid-19 possiamo affermarlo con sicurezza: non è andato bene un bel niente. Tuttavia, seguitiamo a sostenere che “per venire fuori dal tunnel in cui ci troviamo dobbiamo restare compatti”. Tale filosofia ha altresì ispirato la formazione dell’attuale governo, il quale non è che un minestrone di destra, sinistra e cinquestelle, che, almeno ad oggi, stanno ripercorrendo le orme del precedente esecutivo. I partiti di entrambi gli schieramenti stanno insieme sì, ma come ieri si stanno pure tanto sulle scatole. Restare uniti, monito lanciato dalla presidentessa della Commissione europea Ursula von der Leyen, significa anche attendere i vaccini dall’Ue, campionessa di inefficienza. Quindi, non sempre è conveniente permanere appiccicati. Basti guardare al Regno Unito, che, svincolato dall’Unione, a dispetto delle previsioni che lo davano per spacciato a causa dell’isolamento in cui sarebbe sprofondato, sta volando sia dal punto di vista economico che sanitario: la campagna vaccinale procede a ritmo accelerato, mentre noi arranchiamo, siamo disperati e moriamo ogni giorno a centinaia, intanto il nostro sistema economico boccheggia a causa delle sempre rinnovate chiusure. Insomma, siamo proprio sicuri che camminare da soli sia deleterio, o non è forse una maniera per procedere più speditamente? Siamo certi che sia indispensabile congiungersi perché vada tutto bene? Forse sarebbe il caso di cambiare registro. Almeno quello. E già che ci siamo, eliminiamo anche la trita e ritrita locuzione “la salute viene prima di tutto”, adoperata ogni volta in cui si discute della compressione di altri diritti fondamentali che non sono meno importanti.