Sono circa 400 ogni anno i neonati rifiutati alla nascita e quindi abbandonati negli ospedali italiani. E poi ci sono quelli dati alla luce mediante parti clandestini, i quali non rientrano in questa statistica. Secondo una indagine della Società Italiana di Neonatologia, risalente al 2012, i piccoli non riconosciuti sarebbero annualmente addirittura 3 mila.

Questi dati sono allarmanti, ma soprattutto è preoccupante la cadenza con la quale la cronaca ormai da mesi ci sta raccontando di bimbi appena venuti al mondo e gettati tra i rifiuti come fossero oggetti vecchi. L’epidemia e la crisi economica prodotta dalle drastiche misure restrittive volte al contenimento del contagio non hanno fatto altro che colpire innanzitutto le fasce più deboli della popolazione e dunque pure l’infanzia, facendo a quanto pare lievitare – i numeri non sono ancora disponibili – i casi di rifiuto, motivato dalla mancanza di risorse economiche adeguate alla cura della prole. Assenza di mezzi materiali che tuttavia non giustifica la maniera crudele con la quale sovente queste creature appena nate vengono rigettate, modalità che talvolta comporta la condanna a morte del bambino. Del resto chiunque è in grado di comprendere che infilare un neonato in una busta di plastica e lanciarlo in un cassonetto, o mollarlo all’addiaccio, significa togliergli la vita. E per poco non è deceduto il bimbo che il 4 novembre scorso, a Ragusa, è stato riposto all’interno di un asfissiante sacchetto e buttato nella spazzatura. La scorsa settimana l’uomo che sosteneva di averlo visto per caso è stato posto agli arresti domiciliari poiché è indagato per abbandono di minore. Sarebbe infatti proprio il cinquantanovenne il padre di Vittorio Fortunato, così è stato battezzato il bimbetto.

Il giorno seguente, ossia il 5 novembre, una 17enne di Trapani, dopo avere partorito da sola nella sua cameretta, ha aperto la finestra e scaraventato giù il suo pargoletto, trovato nel cortile condominiale con il cranio fracassato e il cordone ombelicale ancora attaccato. Circa due settimane prima, a Verona, un infante, chiamato poi Zeno, di neppure quattro mesi era stato piantato sul ciglio della strada, sotto la pioggia torrenziale. A individuarlo traendolo in salvo due agenti di polizia che pattugliavano la zona.

Sempre nel mese di ottobre, a Palermo, una neonata era stata abbandonata in ospedale perché positiva al coronavirus. Lo scorso luglio, stavolta a Bari, un altro neonato, Luigi, era stato riposto con dolore e tenerezza nella culla termica di una chiesa. Accanto a lui un biglietto: “Mamma e papà ti ameranno per sempre”, dimostrazione del fatto che rinunciare ad un figlio non è facile, si tratta della scelta più tragica che un padre e una madre possano essere costretti a compiere. Pochi giorni prima, in una clinica di Barletta, una bambina appena venuta al mondo, a causa del suo stato precario di salute, non è stata riconosciuta dalla genitrice la quale non ha voluto portarla a casa.

La pestilenza avrebbe dovuto renderci migliori, invece ci ha resi più soli e disperati. La crisi che ci investirà all’inizio del 2021 oramai alle porte acuirà codesto stato di malessere materiale e sociale che in parte abbrutisce la comunità e non vi è dubbio che a pagare per primi tale condizione saranno proprio loro, i bambini, abbandonati, trascurati e maltrattati. L’impoverimento delle famiglie per effetto della disoccupazione crescente, la derivante frustrazione degli adulti e l’indebolimento delle reti di protezione, determinato dall’isolamento forzato e dalla chiusura prolungata delle scuole, rendono ancora più vulnerabile l’infanzia, che già nel 2020 ha patito segregazione, solitudine, divieto di passeggiare persino sotto casa, impossibilità di incontrare e giocare con i coetanei, ovvero di vivere la propria verde e spensierata età.

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