Sembrava un batuffolino di cotone grigio quando in lontananza l’ho intravisto immobile sul marciapiede gigantesco. Mi sono fermata e ho osservato meglio: sì, era un uccellino, forse morto, piovuto giù all’improvviso dal suo morbido nido.

Un pennuto assai strano, non c’è dubbio. Una testa tondeggiante, con becco altrettanto rotondo e una fronte larga e quasi piatta. Non potevo mica andare via così, rassegnandomi. Allora ho deciso di sfiorare il piccolino, per capire se fosse ancora in vita.

La risposta è stata immediata: il pulcino ha iniziato a muoversi, ad aprire la boccuccia in cerca di qualcosa, di sicuro del boccone che era abituato a ricevere dalla sua mamma ogni volta che questa tornava nel loro rifugio. Poi ha spalancato le ali, tentando di spiccare il volo, senza riuscirci. Ali imponenti, grandi, sproporzionate rispetto a quel corpicino ricoperto di sofficissime piume color cenere.

Aveva forse tentato il suo primo volo, finendo con il musetto giù per terra. Per fortuna non sulla strada, ad un passo dalla sua postazione, dove qualche macchina, passando a tutto gas, lo avrebbe schiacciato, cancellandolo in un attimo. Non avevo nulla con cui raccoglierlo dal pavimento se non la mascherina. L’ho preso e l’ho portato via con me tenendolo raccolto nel palmo della mia mano, facendo attenzione a non stringere troppo. Che paura di fargli male!

Intanto l’uccellino si muoveva, era agitato, vispo, affamato, alla ricerca febbrile di amore. Aveva tanta voglia di vivere. Il sole delle 13 è alto e non lascia scampo. Neppure un angolino di ombra. Sotto il sole, che temevo lo avrebbe cotto, ho cercato su internet qualche associazione che potesse aiutarmi a mettere in salvo l’orfanello. Dopo un giro di chiamate, finalmente, trovo l’Enpa di Milano, una ragazza mi comunica che si occupano pure di volatili. Salto su un taxi e raggiungo via Gassendi, dalla parte opposta della metropoli.

Intanto il piccolino, attaccato con le unghiette alla vita, se ne sta, tutto sommato, tranquillo. Controllo il respiro, il corpicino si gonfia e si sgonfia regolarmente, ma non posso fare a meno di piangere tutte le mie lacrime e non so neppure il perché. La tensione è alle stelle. La taxista è una donna gentile e fa della sua vettura un’ambulanza che sfreccia sulle corsie preferenziali per condurci il prima possibile in clinica.

Ed è qui che la veterinaria esclama ad una prima occhiata: “È un rondone. Sta bene. Ha solo tanta fame”. Quasi non mi reggo in piedi a causa di quel turbinio di emozioni che mi fa girare la testa, piango ma anche sorrido, sembro proprio una pazza. La dottoressa mi fa sedere e mi porge un bicchiere d’acqua. Poi mi rassicura: “Ora gli daremo tanta pappa. E domani verrà trasferito presso l’Oasi del WWF, dove potrà stare in compagnia di altri uccellini come lui e non sarà più solo”.

Non riesco quasi a staccarmi da quel cucciolo che ho conosciuto da appena un’ora e mezza. Già gli voglio bene. Già lo amo. Che tenerezza vederlo combattere tanto strenuamente per la vita! Che tenerezza osservarlo farsi piccolino per la paura e poi reagire subito per la brama di amore alla prima carezza! Che tenerezza le sue ali tanto ingombranti che non riescono a sollevarlo da terra! Che tenerezza quelle zampette esili, gialle, fragilissime, che sgambettano poiché il minuscolo pennuto è troppo piccino per volare! Che tenerezza gli occhietti ancora semichiusi che non hanno osservato la bellezza dei cieli che lui solcherà da un capo all’altro del mondo! Quegli occhietti non hanno scorto neppure me che l’ho salvato da un destino orribile.

Quel piccolo di rondone non mi conosce, ma ha sentito il calore della mia mano, e per un po’ ha capito di essere di nuovo al sicuro. Soltanto per questo non ho vissuto invano.

Nel tardo pomeriggio chiamo la dottoressa, che mi comunica che il rondone ha mangiato, imboccato pazientemente dal medico, è di buon appetito, ora se ne sta nel suo giaciglio, sospeso, come piace alla sua specie. Domani è un nuovo giorno. Domani comincia una nuova esistenza per lui. Diventerà grande.

Ed io ogni volta che solleverò lo sguardo verso il cielo penserò a quel dì, quando – non so neppure il perché – cambiai il mio abituale percorso, passando così da punto in cui il rondone mi aspettava raggomitolato in se stesso, forse credendo di essere finito. Penserò che nulla accade per caso. Penserò a quel pulcino grigiotto dalle ali pesanti e goffe che hanno troppa fretta di volare. Penserò a quanto è forte la Vita, quantunque ci appaia labile. Penserò al mio rondone e lo immaginerò felice e forte.

E chissà se lui dall’alto penserà mai più a me.

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