Ha suscitato reazioni scomposte e scandalizzate il titolo di apertura di oggi del quotidiano Libero che recita: “Salvini aggredito da una nera”. Si sono indignati coloro che evidentemente ritengono che la parola “nero” costituisca un insulto. E sarei curiosa di sapere se per questa gente lo sia anche il termine “bianco”.

Prima non si poteva scrivere e pronunciare il vocabolo “negro”, adesso neppure “nero”. La guerra al vocabolario sta raggiungendo vette di stupidità epocali. E sbalordisce che a puntare il dito contro il quotidiano diretto da Vittorio Feltri e Pietro Senaldi siano pure i colleghi, che non dovrebbero censurare le parole innocenti, come il giornalista Luca Sofri, direttore del giornale online il Post. Sofri ha condiviso su Twitter la foto della prima pagina di Libero commentando: “Poi chiedi perché”.

Frase ambigua, poco chiara, incomprensibile, errore che non si dovrebbe perdonare ad un operatore dell’informazione, da cui si pretende limpidezza. Tuttavia è facile intuire che il post sia di condanna.

Bene, cioè male. Si è sollevato un polverone. Il motivo? Libero ha vergato il vero, una verità incontrovertibile: Salvini in Toscana è stato aggredito da una nera. Da una donna nera. Che gli ha strappato la camicia e il rosario. Eppure i progressisti non si indignano per il gesto violento della signora, bensì perché Libero scrive “nera”, altra verità che non rappresenta un insulto e non ha alcuna finalità denigratoria.

I radical-chic se la sono presa pure con il Giornale, diretto da Alessandro Sallusti, in quanto, altresì in questo caso, non è stata gradita la titolazione: “La sinistra ce l’ha fatta: Salvini picchiato”. Anche qui ci troviamo davanti ad una verità che non può essere contestata. Quindi perché disapprovare, ostentare riprovazione, tacciare addirittura entrambi i quotidiani di seminare odio e – udite, udite – di incitare alla violenza. Ma dove? Quando? Come?

Ambedue i titoli non contengono alcuna istigazione all’acredine e alla sopraffazione, bensì denunciano la violenza gratuita, l’odio, l’abuso, il sopruso di chi si è scagliato con forza contro un uomo maledicendolo e picchiandolo.

“Nero” non costituisce un’ingiuria. Però strappare i vestiti di una persona, spezzargli la catenina, bloccarla, mettergli le mani addosso costituiscono reati penali. Quindi, delitti.

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