La sua presidenza cominciò con un scandalo per molti irrilevante eppure significativo, soprattutto alla luce degli eventi che seguirono. Il premier assoluto Giuseppe Conte, che si era presentato al cospetto degli italiani ai quali era un perfetto sconosciuto in qualità di avvocato (nominato d’ufficio) del popolo, venne accusato di avere gonfiato, o potremmo dire “illegittimamente arricchito”, il suo curriculum inserendovi titoli ed esperienze prive di qualsivoglia riscontro nella realtà. “Non vi è traccia del giurista Conte nei registri, al massimo egli avrà compiuto ricerche o partecipato a letture organizzate nelle nostre sedi”. Un po’ come voler persuadere di essere una ballerina del teatro alla Scala per avere ivi fatto le pulizie. Furono prima l’Università di New York e subito dopo pure quella di Malta a smentire Giuseppi, il quale aveva messo agli atti – sparandola grossa – di avere perfezionato gli studi e addirittura insegnato in codesti atenei.

Avremmo dovuto allarmarci, eh già! Invece ci fidammo di quel sorriso suadente, di quelle maniere compassate, fummo conquistati dall’ostentato rigore che gli conferiva un non so che di imbranato, quasi tenero, e dalla pochette perfettamente piegata. Tuttavia, molti non sbagliarono allorché definirono il foggiano “un burattino”: egli era ed è Pinocchio, il mentitore seriale che non si vergogna di raccontare balle su balle davanti alle telecamere, condendole con caramellose frasi fatte in stile Baci Perugina, al massimo inciampa in qualche colpetto di tosse quando è ospite nello studio di Lilly Gruber, svelando una certa difficoltà. Del resto, arrampicarsi sugli specchi non è agevole. Provateci voi.

Dubbi permangono anche riguardo l’esame sostenuto nel 2002 da Conte per aggiudicarsi la cattedra di diritto privato all’Università di Caserta. Infatti dalle carte risulta che il capo della commissione giudicatrice, il professor Alpa, all’epoca fosse suo socio in uno studio legale. Il premier ha sempre negato con forza tale contiguità a colui che aveva il compito di esaminarlo.

In due anni e mezzo il nostro presidente del Consiglio ne ha narrate di fandonie. Ma il guaio è che queste ultime diventano sempre più colossali e ne consegue – inevitabilmente – che gli abitanti della penisola si sentano presi per i fondelli e la rabbia sociale cresca fino a divampare nel prossimo futuro, allorché il premier assoluto avrà terminato scuse, alibi e individui su cui scaricare ogni colpa. Sarà la resa dei conti. E speriamo pure dei tonti.

Nel 2018 prometteva che avrebbe posto fine al business dell’immigrazione. Dal settembre del 2019, passato in un nano secondo e con impressionante nonchalance dal presiedere il governo gialloverde al presiedere quello giallorosso, Conte non ha fatto altro che agevolare gli affari dei trafficanti di esseri umani che soltanto dal primo gennaio di quest’anno ad oggi, ossia nei mesi della emergenza sanitaria e della pandemia, hanno scaricato sul nostro territorio ben 32.665 clandestini, di nazionalità soprattutto tunisina e si sa che dalla Tunisia non provengono di sicuro profughi. Eppure ciò vorrebbe farci intendere la maggioranza. E vabbè.

Ma è dallo scorso febbraio che Giuseppi ci riserva il meglio di sé, ci tocca riconoscerglielo. Mirava a farci credere che l’Italia fosse preparatissima e potesse affrontare l’epidemia senza problemi. Invece mancava tutto, dalle mascherine ai posti letto nelle terapie intensive. Pretendeva di convincerci che l’Italia fosse un modello mondiale per la gestione della pestilenza, invece eravamo l’esempio da non seguire. Aveva proclamato di essersi attenuto alle raccomandazioni del comitato tecnico-scientifico (principale baluardo dietro il quale egli si trincera), eppure quest’ultimo aveva indicato di fare subito le zone rosse a Bergamo, Giuseppi invece temporeggiò. Ed è noto ormai a tutti cosa avvenne poi da quelle parti. Aveva garantito che nessuno sarebbe stato lasciato indietro, ma per mesi e mesi i lavoratori hanno atteso la cassa integrazione, affamati. Aveva assicurato che il sistema sanitario – stavolta – sarebbe stato pronto a fronteggiare la seconda ondata che sarebbe giunta in autunno, invece non era vero niente, scarseggiava persino il personale medico. E così l’avvocato del popolo ha puntato il dito contro il popolo, accusato di essere irresponsabile, di essere reo della diffusione del contagio per essere stato in discoteca a Porto Cervo, per avere osato lasciarsi andare in estate, dopo mesi e mesi di restrizioni e limitazioni asfissianti. A fine ottobre, annunciando nuove misure restrittive, il premier assoluto proclamò che a dicembre sarebbero piovute dal cielo le prime dosi del vaccino anti-Covid. Panzane. L’antidoto si vedrà forse a fine gennaio. Sempre in conferenza stampa trasmessa a reti unificate il primo ministro aveva sottolineato che chiusure e divieti inflitti a novembre, quando lo stivale fu tinto di rosso, arancione e giallo, avessero la funzione di “salvare il Natale”. Gli italiani strinsero i denti. Ristoratori, albergatori, negozianti consumarono le residue speranze. Ancora uno sforzo. Ancora un sacrificio, quantunque immane. Tuttavia, giovedì sera, con l’ennesimo Dpcm della infinita collezione, Conte, il quale loda la bellezza del Natale spirituale trascorso in compagnia dei conviventi (che non tutti hanno), ci ha blindati all’interno dei rispettivi Comuni proprio nelle feste natalizie con tanto di coprifuoco (e guai a chi non lo rispetta), condannando di fatto alla solitudine quei quasi 9 milioni di cittadini che abitano da soli e che soli rimarranno persino a Natale.

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