Avrebbe dovuto – almeno questo aveva promesso e garantito – ritirarsi dal palcoscenico politico già nel dicembre del 2016, qualora il referendum costituzionale da lui promosso avesse avuto un esito infausto. Fu il trionfo dei No, eppure Matteo Renzi non abbandonò affatto i palazzi istituzionali: smise di essere primo ministro, vero, ma non segretario del Partito democratico. Il fiorentino, dopo avere tentato di tutto per fare vincere il Sì, inclusa la riesumazione dalla naftalina del progetto di ponte sullo stretto di Messina e l’ingaggio di uno dei massimi esperti di comunicazione politica a livello internazionale, il guru americano David Hunter, incassò una clamorosa sconfitta, tuttavia non diede seguito alle sue solenni parole, ripetute per settimane: “Se perdo lascio la politica”.

Del resto, avremmo dovuto aspettarcelo. Non era nuovo Renzi a simili proclami. Non dimentichiamo, infatti, che il suo slogan per la corsa a sindaco di Firenze nel 2009 era: “O cambio Firenze o cambio mestiere e torno a lavorare”. Le solite promesse da marinaio. Poi, con un balzo felino, dal ruolo di primo cittadino fiorentino Matteo assunse quello di presidente del Consiglio. Mica male! Eravamo tanti all’epoca a credere in lui, gente di destra e gente di sinistra, uomini e donne, vecchi e giovani. Renzi metteva d’accordo tutti.

Fu con Renzi che il Pd, alle elezioni europee del maggio del 2014, allorché Matteo era premier, ottenne il 40,81% dei consensi. Peccato che quattro anni più tardi tali voti erano più che dimezzati. E solo a questo punto Matteo, nel marzo del 2018, a frittata fatta, a disastro compiuto, lascerà la segreteria del Pd.

Adesso l’ex segretario ancora non si rassegna alla caduta e tenta di manovrare fili sfilacciati delle trame politiche a capo di un partitino da lui fondato che nei sondaggi più felici tocca appena il 3%. Tale partitino-pulce, Italia Viva, fa parte di questo governo giallorosso, il quale, pur essendo un esecutivo legittimo sul piano formale, risulta illegittimo a quanti bocciarono il Pd alle elezioni del marzo 2018 e ora sono governati (con il pugno di ferro) proprio dal Pd.

“Gli italiani ci hanno chiesto di stare all’opposizione e noi staremo all’opposizione”, aveva tuonato con fierezza Matteo all’indomani del 4 marzo 2018. Ci era piaciuto. Ma erano le solite stronzate. La sinistra proprio non ce la fa ad essere minoranza, pure quando sfacciatamente lo è, eccome se lo è. Essa ritiene che le spetti il ruolo centrale, principale, fondamentale poiché essa è migliore di tutti gli altri. Non resiste all’odore di potere e individua sempre una maniera per insinuarsi e imporsi, sfruttando alla grande l’occasione.

E tale occasione si presentò appunto nell’agosto del 2019, quando un forse incauto Matteo Salvini, il quale evidentemente si era rotto le scatole di governare con chi continuava a fare ostruzionismo, ossia il M5s, fece saltare in aria l’esecutivo persuaso – evidentemente – che saremmo tornati alle urne. Macché! Renzi, che si propose agli italiani quale salvatore della patria e ancora rivendica tale funzione, promosse l’alleanza tra il Pd e il M5s, suo acerrimo nemico. Unico modo questo per ricominciare a contare qualcosa, per avere peso, per risorgere dal dietro le quinte e prendersi le sue rivincite. Operazione brillantissima, non c’è che dire.

Gli italiani sappiano che se sono governati da Conte, Boccia, Azzolina e compagnia bella, se hanno patito dunque questa gestione maldestra dell’epidemia, se sono nel fango fino al collo, insomma, il merito è tutto di Renzi, il quale da mesi critica il governo di cui è parte integrante ma si guarda bene dal farlo crollare, poiché sarebbe la sua stessa irreversibile caduta. Minaccia, fa rumore, tanto rumore, poi si rimette in riga.

Fa ridere la gaffe di Renzi che posta una foto a Roma, magari mentre è sul divano, affermando di essere a correre altrove, a centinaia di km di distanza, e sotto la pioggia. Può apparire uno scivolone sciocco, un siparietto, qualcosa di buffo e innocente. Certo. Fa ridere. Ma un politico non dovrebbe farci ridere, è questo il punto. Né prenderci per i fondelli. Né nelle grandi né nelle piccole cose. Se annuncia che si ritirerà, egli poi si deve ritirare, punto. Se dichiara di essere in un luogo, lì deve essere. Si tratta di coerenza. Quella sconosciuta.

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