Avremmo preferito continuare ad immaginarli confinati in laboratori sterili, alle prese con le loro scartoffie, con la schiena piegata sul microscopio, i capelli disordinati ed il naso compresso da pesanti occhiali da vista. Invece gli scienziati hanno dimostrato nelle ultime settimane di non essere avulsi dal mondo né immuni dai vizi comuni dell’essere umano qualunque, di cui condividono le cafonerie nonché il vano desiderio di celebrità, e, soprattutto, di essere delle banderuole. Ritenevamo che il metodo scientifico fosse unico, che le sue conclusioni fossero univoche, poiché basate su dati incontrovertibili. Invece no. Gli scienziati pazzi che ultimamente hanno affollato studi televisivi a tutte le ore del giorno e della notte, neanche fossero il premier Giuseppe Conte, e che seguitano a litigare come comari sui social network, non fanno onore alla scienza.
Sono stati essi per primi a sottovalutare il Covid-19 nonché a sminuire l’utilità delle misure profilattiche atte a contrastarne la diffusione. Il coronavirus? Suvvia, non arriverà mai qui, nella nostra bella e prospera Italia, ci garantivano. È roba da sfigati. Le pestilenze colpiscono i poveretti, i morti di fame, quelli che non hanno in casa il bidet, anzi coloro che una casa – se proprio vogliamo dirla tutta – neanche ce l’hanno, o la classe operaia o i contadini. La Cina, in fondo, sta dall’altra parte del globo. La mascherina? Ahahahah, ma non serve, ci spiegavano in tv. E noi, dal basso della nostra ignoranza, ci affidavamo, ci fidavamo di virologi, epidemiologi, infettivologi e chi più ne ha più ne metta.
Però cosa accade nella nostra testolina allorché questi esperti iniziano a contraddirsi? Facile rispondere: veniamo assaliti dalla confusione, molti pure dal panico. Ed è così che, in cerca di sicurezze o di appigli per resistere a questa corrente che da oltre un mese ci trascina via in un vortice di eventi persino catastrofici fino ad ieri impensabili, si sono create delle vere e proprie tifoserie. In attesa che le partite di calcio ricomincino, sono nati nel Belpaese nuovi strambi club di ultrà. C’è chi parteggia per questo esperto, chi per l’altro. Si è pronti pure a scommettere sul verbo del proprio scienziato prediletto, salvo poi mandarlo al diavolo quando le sue teorie gli franano sotto i piedi ed egli si rivela un incompetente, proprio come il suo collega avverso. È il caos totale.
Procediamo con metodo scientifico per verificare la fondatezza di quanto fino a qui sostenuto. È lo stesso premier che sottolinea più e più volte che le decisioni assunte dal governo vengono prese sulla base dei suggerimenti del comitato scientifico, nelle mani del quale ormai è solito lanciare la patata bollente. Benissimo. Vogliamo credergli.
Il 31 gennaio codesto comitato deve averci visto giusto poiché l’esecutivo emana un provvedimento in cui viene proclamato lo “stato di emergenza” per 6 mesi “in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”. Tuttavia non vengono adottate (forse neanche suggerite) misure efficaci per impedire al virus di entrare in Italia e di espandersi. Neanche due giorni dopo il virologo Roberto Burioni, ospite di Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, dichiara che sulla penisola il rischio è pari allo zero, “in quanto si stanno prendendo precauzioni”. Quali? Non pervenute.
Dello stesso avviso di Burioni era Massimo Galli, primario del reparto di malattie infettive dell’ospedale Luigi Sacco. Il 21 febbraio il paziente 1 viene ricoverato in terapia intensiva. E parte da qui quella catena di eventi che ha condotto all’isolamento domestico 60 milioni di italiani. Tuttavia, gli scienziati non si fermano. Scoppia la diatriba social tra Burioni, che nel frattempo ha capito che il virus circolava già in Italia, e Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica del Sacco di Milano, la quale il 23 febbraio insiste accanitamente: “Si è scambiata un’infezione appena più seria di una influenza per una pandemia letale”. Gismondo è sostenuta da Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’Istituto ortopedico Galeazzi di Milano, il quale è certo si tratti di “una malattia banale”, nonché dalla virologa Ilaria Capua che parla di “sindrome simil-influenzale”. Molti di questi dotti dottori hanno poi fatto il mea culpa, tuttavia la frittata era già servita.
E noi cosa abbiamo imparato? Che fidarsi degli esperti è bene. Non fidarsi è meglio.
Articolo pubblicato su Libero il 27 marzo del 2020