Jeff Bezos si è sposato a Venezia, in una cornice da sogno. Ma a rovinare l’incanto ci hanno pensato, puntuali come un orologio guasto, i soliti contestatori “progressisti”, con le loro accuse preconfezionate contro il capitalismo e i “ricchi”, i quali lo hanno chiamato e definito, con tanto di striscioni, “invasore”, in quanto avrebbe occupato Venezia per tre giorni.
Attenzione, mica occupazioni abusive in stile zecca rossa: Bezos ha lasciato a Venezia la bellezza di 45 milioni di euro, di cui 3 donati al Comune, e ha generato un indotto economico di quasi un miliardo in pochi giorni, confermando di essere una sorta di re Mida, che trasforma in oro tutto quello che sfiora. E ce ne fossero di più di persone così, capaci di creare e di produrre benessere.
Sì, Bezos è ricco. Molto ricco. Sfacciatamente ricco. Schifosamente ricco. Anzi, tra gli individui più ricchi del mondo. Ma questa è forse una colpa? Un crimine? Un reato? Egli la sua fortuna non l’ha ereditata, non l’ha rubata, non l’ha costruita sulle guerre o sulla disperazione altrui. Bezos si è fatto da solo. Egli è il classico self-made man. E già per questo sarebbe da ammirare e da assumere quale modello da seguire e da cui trarre ispirazione. Da solo ha edificato Amazon, che oggi impiega oltre 1,5 milioni di persone nel mondo (dato 2024) e soltanto in Italia genera più di 10 miliardi di euro di fatturato. Come se non bastasse, Amazon ha investito in Italia oltre 4 miliardi e ha versato più di 1,4 miliardi di euro di tasse nel solo 2023. Oltre ad Amazon, la controllata AWS (Amazon Web Services) ha annunciato un investimento di 1,2 mld € per centri dati in Italia, un’iniziativa che da qui al 2029 sosterrà circa 5.500 posti di lavoro.
Tornando ad Amazon, esso rappresenta uno dei principali datori di lavoro privati in Italia. Il colosso statunitense resta un provider concreto di posti di lavoro e apporta gettito fiscale sostanzioso. Insomma, nel nostro Paese, Amazon non è un’entità astratta o offshore, ma un motore reale di economia, occupazione, innovazione e gettito fiscale.
Amazon dà da mangiare a migliaia di famiglie italiane. Ha contribuito a modernizzare il settore logistico, ad ampliare le possibilità di chi fa impresa, a rendere più accessibile il commercio a milioni di italiani. Viene utilizzato da tutti, anche dai contestati di sinistra, eppure Bezos, il suo fondatore, viene trattato come fosse il male assoluto. Perché?
Perché ha successo. Perché non è in perdita, non è un parassita, non campa di sussidi o di retorica, non è clandestino, non è sotto processo in Ungheria con l’accusa di avere pestato presunti fascisti, non occupa abusivamente la proprietà altrui, e poi aggiungiamoci che è bianco e maschio, categoria presa di mira dalla società occidentale, come spiego nel mio libro “Difesa del maschio di razza bianca”, che uscirà nelle librerie il prossimo settembre.
In Italia, l’idea stessa del successo è guardata con sospetto. Pensiamo a cosa ha subito Silvio Berlusconi, una vera e propria persecuzione giudiziaria e morale. Se sei miliardario è come se tu fossi automaticamente colpevole. Se crei posti di lavoro, invece di ricevere gratitudine, ricevi contestazioni, attacchi, insulti, avvisi di garanzia, processi mediatici, se si potesse, pure un bel pugno in faccia. Se porti sviluppo, ti accusano di sfruttare. È una mentalità pericolosa, che finisce per punire il merito e rendere positiva l’immagine tutt’altro che virtuosa del “parassita sociale”, l’opposto di ciò che uno come Bezos rappresenta e incarna.
A Bezos si rimprovera il patrimonio, oltre che il matrimonio, e non si guarda al suo percorso, ai risultati e ai benefici che con i suoi progetti e la sua visione egli ha assicurato alla collettività globale. Eppure, in un Paese sano, dovremmo ringraziare chi incrementa l’occupazione, paga le tasse, investe nel nostro territorio. La nostra invidia verso chi ce l’ha fatta è così incontenibile che, invece di esprimere apprezzamento, fischiamo Bezos mentre si sposa.
Se accogliamo a braccia aperte clandestini, che ci stanno sul groppone e spesso delinquono, reputandoli “risorse preziose che ci pagano le pensioni”, mentre consideriamo “invasore” e vogliamo cacciare colui che paga effettivamente gli stipendi e reca prosperità, garantendo lavoro e gettito fiscale, significa che siamo un popolo votato all’autodistruzione.